Il giornalismo, la satira e la cultura italiana sono in lutto: è morto a 94 anni Giorgio Forattini, forse il più grande vignettista del secondo Dopoguerra. L'uomo che aveva trasformato lo "schizzo" in prima pagina in un mini-editoriale, salace, pungente, a fuoco. Capace di dare il senso alle notizie e, spesso, creare esso stesso la notizia diventando oggetto di discussione tanto nei bar quanto nei Palazzi del potere romani. "Senza falsa modestia, dopo Guareschi credo di venire io nella classifica dei protagonisti della satira italiana dell'ultimo secolo", amava ripetere di sé. Aveva ragione.
La sua matita ha solcato decenni di storia italiana, dagli anni Settanta ai Duemila, difficili, confusi, emozionanti. Ha firmato su La Stampa (e qui, per la prima volta nella storia della nostra editoria, la sua rubrica è finita con posto fisso in prima pagina), sulla neonata Repubblica di Eugenio Scalfari, su Panorama, su Il Male. Il divorzio da Repubblica ha fatto epoca, perché causato dopo 16 anni di collaborazione, nel 1999, da una sua vignetta su Massimo D'Alema intento a sbianchettare la famosa "Lista Mitrokin". Baffino aveva deciso di querelarlo per poi ritirare tutto. Ma la bomba nel frattempo era già esplosa.
Forattini continuò a disegnare per La Stampa, per la terza volta, poi sul Giornale e infine sul Quotidiano nazionale, la sua ultima esperienza fissa. Le sue vignette hanno colpito e dissacrato i più potenti leader della Prima e della Seconda repubblica, spesso considerati intoccabili. Memorabili quelle su Giulio Andreotti e Giovanni Spadolini, Bettno Craxi e Antonio Di Pietro, Silvio Berlusconi e Amintore Fanfani, Walter Veltroni e Romano Prodi, Carlo Azeglio Ciampi e Achille Occhetto. Da destra a sinistra, nessuno si è salvato. E i suoi libri, vero e proprio "bignami" di intere stagioni politiche, erano sempre un caso editoriale. Difficile che almeno uno di quei volumi non sia finito sullo scaffale di una casa italiana.




