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Fabrizio Del Noce: "Da Travaglio alla Cuccarini fino a Staffelli e Magalli: cosa ribatto ai miei 'nemici'"

di Alessandro Dell'Orto domenica 23 novembre 2025

12' di lettura

Dopo una carriera intensa - inviato di guerra in Medio Oriente, parlamentare, corrispondente da New York, conduttore tv e, infine, direttore di Rai1 - e stressante («Mi è costata un infarto e 4 by pass»), Fabrizio De Noce, 77 anni, si gode la pensione a Bratislava. Sì, è uno dei tanti italiani fuggiti all’estero per non pagare le tasse («Non capisco tutte queste polemiche ridicole») e trascorre 210 giorni in Slovacchia («Mi sono trasferito lì da un anno»): i rimanenti cinque mesi, invece, li divide tra Portogallo («In vacanza») e Italia. La nostra tv, però, continua a guardarla ovunque: «Rai1 vive ancora sui miei programmi. La trasmissione che più mi piace? “Belve”».

Giardino con piscina riscaldata, stanze, corridoi, saloni, arredi antichi e pure una cappella privata: Fabrizio Del Noce, questa tenuta è meravigliosa. 
«È la casa di famiglia da 400 anni e si chiama “Villa Grimaldi”. Mi segua, entriamo».
Fotografie e quadri sono solo a tema gatti. 
«I veri padroni della casa sono quei due mici che vede distesi: lei è “Natasha”, nome tolstoiano, mentre lui è “Generale Lee”. Ora saliamo al piano superiore».
Aspetti: lì avanti c’è una tigre a grandezza naturale. 
«L’ho vista morire di parto al “Jim Corbett National Park”, in India, 40 anni fa. Non l’avrebbero nemmeno sepolta e allora l’ho presa io, l’ho fatta imbalsamare in Inghilterra e da allora la tengo in casa. Venga, mettiamoci su quel divano che c’è una bella luce».
Abita qui stabilmente? 
«No, dopo o 10 anni in Portogallo ora vivo a Bratislava».
Scelta che ha scatenato mille discussioni: la accusano di essere fuggito dall’Italia per godere, da pensionato, dei vantaggi fiscali. 
«Polemica ridicola, tutti possono farlo. E poi io rispetto la legge in modo esasperato: il minino di giorni da passare là è 183 e io arrivo almeno a 210».
C’è chi sottolinea, tuttavia, che lei evita di pagare le tasse su stipendi ricevuti - tra politica e tv di Stato- proprio grazie alle tasse degli italiani. 
«Guardi, il vitalizio da deputato ora è davvero simbolico dopo il taglio di Fico. E comunque alla Rai avevo contratti molto alti sui quali già versavo fior di contributi: le pensioni d’oro ce le siamo costruite pagandole noi, sono uno stipendio posticipato».
Quanto guadagnava da direttore di rete? 
«Cinquecentomila euro lordi l’anno, più premi a raggiungimento di obiettivi».
Quindi ora la pensione è circa la metà? 
«Duecentocinquanta mila euro: in Italia sarebbero lordi, ma in Slovacchia sono netti».
Perché si è trasferito proprio a Bratislava? 
«In Portogallo, dove stavo benissimo, un anno fa hanno tolto le agevolazioni fiscali e allora ho scelto la Mitteleuropa, cui sono legato».
Che vita fa? 
«Riservata, sono molto casalingo: leggo, ascolto musica, guardo la tv».
Anche Rai1? 
«Certo e mi fa molta malinconia vedere che vive ancora su gran parte delle trasmissioni che ho creato io».
Qualche programma che le piace? 
«Quasi nessuno. Perfino “Affari tuoi”, che hanno allungato come un brodo, funziona meno: con Bonolis era forte, ora ci mettono dieci minuti prima di aprire un pacco».
Beh, ci sarà una trasmissione che la intriga. 
«“Belve”: Francesca Fagnani è davvero molto brava».
Ci andrebbe come ospite? 
«No. Lì si addenta o si viene addentati, io non ho più l’età».
A proposito di età, torniamo indietro nel tempo. Al piccolo Fabrizio Del Noce. 
«Nasco a Torino il 3 gennaio 1948. Mamma Angiola Maria è laureata a Berlino in letteratura tedesca, ma molla tutto per seguire papà Augusto».
Che è un grande filosofo. 
«Ma un padre scomodo con un carattere spigoloso, non ha la propensione a starmi dietro: lui e mia madre non sarebbero dovuti diventare genitori».
Figlio unico? 
«Sì, è il primo vantaggio che mi regala la vita visto i difficili rapporti che spesso ci sono tra fratelli».
Un ricordo con suo padre? 
«Una passeggiata a Nizza, sul lungomare, in cui mi spiega perché in questo mondo è difficile credere in qualcosa».
Discorso profondo. 
«In quel momento ha quasi 80 anni e tre mesi prima ha avuto un infarto, si sente vicino alla fine. Morirà poco dopo, il 30 dicembre 1989, mentre io sono a Bucarest a seguire la caduta di Ceausescu».
Lei che bambino è? 
«Non timido, anzi aggressivo e litigioso».
Caratteristica che rimarrà invariata nel tempo: poi approfondiamo. Scuole? 
«Dalle suore domenicane fino alla terza elementare, poi il mitico liceo D’Azeglio e laurea in legge a Torino nel 1971 con correlatore Norberto Bobbio».
Come si avvicina al mondo del giornalismo? 
«La mia idea è proseguire, come assistente, la carriera accademica, ma nel frattempo la Rai mi propone una consulenza in una trasmissione che si chiama “Sottoprocesso” e tratta temi politico-giuridici. Un anno e mezzo dopo mi viene offerto il praticantato al telegiornale e accetto».
Primo servizio? 
«Nel’75 vado a seguire il “Delitto del Circeo” per il Tg1, ma il sogno è diventare inviato».
Perché quello sguardo? 
«Ci sono mostri sacri come Orlando, Levi, Barbato, Volcic. “Non ce la farò mai”, penso.
Invece... 
«Se si desidera tanto qualcosa, prima o poi la si ottiene. E nel 1980 mi promuovono».
Diventa inviato speciale e la mandano soprattutto in Asia e Medio Oriente. 
«Seguo la guerra Iran-Iraq e la questione ostaggi americani a Teheran, poi divento di casa a Israele, il Paese cui resto più legato e dove mi considerano un amico. Tanto che Yitzhak Rabin, quando lo intervisto, mi dice: “Chieda pure tutto quello che vuole senza problemi”. Non certo come Yasser Arafat, capo dell’Olp...».
Racconti. 
«Nel 1981 lo incontro per un’intervista, alle 3 di mattina, e gli spiego: “C’è un’inchiesta secondo la quale le Brigate Rosse italiane avrebbero rapporti con i palestinesi dell’Olp”. Lui nega e allora gli metto sul tavolo i documenti. Si arrabbia, mi butta i fogli in faccia e dà ordine ai suoi di sequestrare le bobine della registrazione».
Urca e poi? 
«Ci ripensa e, dopo due giorni, mi chiama: “Rivediamoci domenica”. Ma diventa una specie di recita con domande e risposte concordate».
Altri leader intervistati in Medio Oriente? 
«Saddam Hussein a fine dicembre 1990, pochi mesi prima dello scoppio della guerra: c’è una fotografia che ci ritrae».
Come è l’incontro? 
«Complicato. Mi portano in quattro residenze diverse per confondermi e, prima del colloquio, mi fanno spogliare tre volte tastandomi la pancia per paura che abbia esplosivi».
Hussein come è? 
«Elegante, vestito all’europea. È gentile e mi mette a mio agio, ma il dialogo è difficoltoso perché parla solo arabo e serve l’interprete. Pensando a lui, però, la cosa più impressionante è quanto accade poi».
In che senso? 
«Saddam, considerato un Dio dal suo popolo, alla fine viene impiccato ed esposto al pubblico ludibrio».
A proposito di guerra del Golfo, lei la vive di persona. 
«L’Iraq, il 2 agosto 1990, occupa il Kuwait e dopo cinque giorni riesco a entrare a Baghdad. E poi, il 17 gennaio 1991, sono l’unico giornalista italiano, insieme con il collega Stefano Chiarini de “Il Manifesto”, a essere ancora lì quando la città viene bombardata».
Che ricordo ha? 
«È il momento più emozionante e coinvolgente della mia vita. Alle 2.40 di notte vengo svegliato dalle bombe, apro la tendina della finestra lentamente - come si fa con le carte da poker- e guardo fuori: razzi, contraerea, il rumore fragoroso delle bombe, è tutto illuminato a giorno e mi trovo di fronte una scena apocalittica mentre il grattacielo oscilla».
In quegli anni da inviato rischia mai la vita? 
«Una volta in Libano, a Beirut, passiamo da una parte all’altra della città, in auto, a velocità pazzesca per paura dei cecchini: sono sul sedile dietro, veniamo bersagliati e colpiscono il bagagliaio, a soli 30 cm dame. Quando lasciamo Baghdad perché ci rimpatriano dopo l’attacco, invece, viaggiamo verso l’aeroporto su tre macchine e improvvisamente, proprio tra la mia auto e quella dietro, esplode una bomba: per lo spostamento d’aria finiamo fuori strada».
Nel 1994 lascia il giornalismo per darsi alla politica. 
«Il nuovo direttore del Tg1, Albino Longhi, mi rimuove dal ruolo di capo dei servizi speciali e decido di andarmene. Conosco Berlusconi a una cena e poi, attraverso le amicizie con De Michelis e Altissimo, mi viene proposta la candidatura per Forza Italia».
Viene eletto per una legislatura e diventa il “parlamentare in Ferrari”. 
«Un errore - quello di ostentare l’auto - che non rifarei».
Sarà servito almeno con le donne... 
«Guardi, in quel periodo ho 46 anni e per conquistarle non ho certo bisogno della Ferrari».
Eppure, proprio allora, iniziano a circolare voci di una sua presunta omosessualità. 
«Nulla contro i gay, ma sono da sempre etero».
E il bacio in bocca a Fiorello? 
«Quello succederà più avanti, nel 2004, ed è un gioco, una gag non preparata durante “Stasera pago io”».
Come mai ride? 
«Un anno dopo io e Fiore ci incontriamo in un hotel a colazione e ci salutiamo, scherzando, con un bacino sulle labbra. Alle spalle ci sono due anziane che, scandalizzate, commentano ad alta voce: “Ma dai, anche di primo mattino”».
Si è mai spiegato il motivo di quelle dicerie? 
«Forse il fatto di essere riservato ha alimentato i gossip».
Vero, della sua vita privata non si sa praticamente nulla. A parte un fidanzamento con Roberta Giusti, l’ex annunciatrice Rai. 
«Tre anni, dal 1982 al 1985: l’unica compagna che sia riuscita a imporsi rispetto al mio modo di vivere la privacy».
Torniamo agli Anni ’90. Politica, Ferrari, donne, bella vita. Di lei hanno detto: è un dandy metropolitano, nel suo armadio a otto ante ci sono molti completi di Caraceni, una decina di smoking, scarpe inglesi su misura e un’enormità di golf di cachemire colorati. Si riconosce?  
«Sì e le racconto questa. Quando, finita l’esperienza politica, rientro in Rai e mi mandano a fare il corrispondente a New York, organizzo il trasloco. Arrivano i bagagli e la nuova cameriera, mentre disfa le valigie, mi guarda incuriosita: “Scusi, ma quanti siete in famiglia?”. “Sono solo”».
Meraviglioso. Quanto tempo sta negli Usa? 
«Dal 1996 alla fine del 2000».
Gli eventi più importanti raccontati? 
«Sono il primo cronista ad arrivare a Miami per l’assassinio di Gianni Versace e il mio commento è: “Sarà come il delitto Kennedy, non si scoprirà mai la verità”».
Lungimirante. Sono gli anni dello scandalo Clinton-Lewinsky. 
«A sbalordirmi è soprattutto la pazienza del presidente degli Usa: i giornalisti gli pongono, ogni volta, le stesse domande e lui, imperturbabile, risponde sempre allo stesso modo».
Perché, ad un certo punto, si dimette? 
«Come direttore del Tg1 torna Albino Longhi e, per non lavorare con lui, scelgo la conduzione di “Linea verde”».
Nel 2002, però, viene nominato direttore di Rai1. 
«Ruolo che ricopro per 7 anni: è la direzione più longeva della storia e l’esperienza più bella della vita. All’inizio, per far gruppo, riprendo gli scherzi che realizzavo con Mentana al Tg1: gavettoni a tutti, giro sempre con una pistola ad acqua».
Da fuori, però, il bersaglio ben presto diventa lei. 
«Perché, rispetto agli altri direttori, sono conosciuto, popolare e riconoscibile».
Il primo caos è per Enzo Biagi, cui sposta il programma “Il Fatto” . 
«In quel momento ha 82 anni e la salute compromessa, reggere una striscia quotidiana per lui sarebbe difficoltoso e ne è consapevole, ma la faccenda diventa un braccio di ferro».
E “l’editto bulgaro” di Berlusconi? 
«Una coincidenza temporale: io vengo nominato il 16 aprile, due giorni prima».
Del Noce, lei in quei 7 anni finisce al centro di tante polemiche che spesso arrivano in tribunale. Facciamo un giochino: scegliamo alcuni “nemici” e commentiamoli. Partiamo da Marco Travaglio che, nel 2007, firma un articolo su di lei dal titolo “La prevalenza del cretino”. 
«È uno dei pochi giornalisti di oggi che, pur non condividendo quello che pensa, leggo volentieri perché scrive bene con un linguaggio chiaro e non allusivo. Ed è intelligente».
Quanti complimenti, dove è finito il Del Noce “aggressivo e litigioso” come da bambino? Riproviamoci con Giancarlo Magalli, che dice: “Del Noce me ne ha fatte tante, mi ha tolto programmi di grande successo”.
«Racconta cose imprecise, era già stato messo da parte dai miei predecessori».
Lorella Cuccarini, invece, sostiene di essere stata danneggiata perché l’ha lasciata due anni senza lavorare. 
«Le sue trasmissioni non andavano bene, non potendola licenziare l’unica soluzione era fermarla, anche perché non rientrava più nei programmi di Rai1. Rifarei le stesse scelte».
Valerio Staffelli, nel 2003, la porta in tribunale per un’aggressione. 
«Ero vittima di una persecuzione da parte di “Striscia la notizia”, forse infastidita dal fatto che “Affari tuoi” l’aveva superata. Staffelli mi ha continuato a seguire anche se gli dicevo basta, finché non ce l’ho più fatta e gli ho tirato il microfono in faccia. Ma non è stato un gesto premeditato e anche il giudice l’ha confermato: sono mancino e l’ho colpito con il destro».
Come è finita? 
«Io condannato per eccesso colposo, lui per violenza privata. Che è più grave».
Si narra di un’altra sua leggendaria sfuriata, questa volta durante una cena a casa di Milly Carlucci. 
«Questioni professionali con Agostino Saccà, gli ho lanciato un flute di champagne in faccia. Ci ha divisi Pippo Baudo».
Che è un altro che si risente quando, nel 2007, lei annuncia che darà la conduzione di Sanremo a Bonolis. 
«Siamo tornati subito amici: ci siamo telefonati anche due settimane prima che morisse».
Ultimo “nemico”: Adriano Celentano, per colpa del quale nel 2005 lei si auto-sospende per quattro puntate. 
«Era un gioco delle parti servito a lanciare la trasmissione, in realtà abbiamo sempre avuto un rapporto eccellente. Nel suo “Rockpolitik” improvvisava totalmente i monologhi e dunque era impossibile poterli visionare. Come direttore di rete, però, ero responsabile di tutto ciò che veniva detto, non potevo accettare questa cosa».
Lei, in quel periodo, lancia Caterina Balivo, Elisa Isoardi, Eleonora Daniele e Veronica Maya: qualcuno, però, la accusa di agevolarle perché sono sue “cocche”. 
«Era un progetto di svecchiamento, voluto dal consiglio della Rai, per creare un ricambio generazionale. E comunque lavorano ancora oggi».
Qualcuna poi l’ha delusa? 
«La Balivo poteva fare di più, con me a 25 anni conduceva già il sabato sera di Rai1. Ma non si è impegnata nello studio, pensava bastasse essere bella».
Del Noce, ora parliamo dei suoi principali successi: “L’Eredità” come nasce? 
«Quando arrivo io, il Tg1 perde regolarmente contro il Tg5 e capisco che, se vogliamo invertire la tendenza, ci vuole un pre-serale forte in grado di trainare gli ascolti. Un giorno mi arriva sul tavolo “L’Eredità”, format andato male in Spagna e Argentina. In molti non ci credono, io invece me ne innamoro e lo mando in onda».
Ed è un successo. Così come “Affari tuoi”. 
«Nel 2003 abbiamo bisogno di un programma in grado di trainare la prima serata, ma i format che ci propongono non mi piacciono. Quando Endemol mi presenta “Affari tuoi” mi illumino e decido di provarlo subito, in gran segreto, il 16 agosto in uno studio raffazzonato a Cinecittà. Lì capisco che abbiamo in mano una bomba e lo affido a Bonolis, che lo valorizza ulteriormente».
Lei è sempre stato alla Rai: Mediaset l’ha mai cercata? 
«Nel 2005. È quasi fatta, ma mi viene un infarto, mi mettono 4 by pass e mi salvano per miracolo. Colpa dello stress».
Torna presto al lavoro? 
«Firmo per uscire dall’ospedale e in pochi giorni sono in ufficio. A distanza di quattro mesi poi, per sentirmi veramente guarito, organizzo una “follia” senza dirlo ai medici».
Cioè? 
«Un lancio in paracadute a Terni, proprio dove nel 2010 poi è morto Taricone».
Ama gli sport estremi? 
«Ho fatto un po’ di lanci col paracadute quando ero in America, torrentismo e parapendio quando conducevo “Linea verde”».
Dopo essere stato direttore di Rai Fiction, nel 2013 va in pensione. Perché quella smorfia? 
«Lascio la Rai dopo 40 anni in cui ho ricoperto ruoli importanti e ottenuto risultati che nessuno ha mai eguagliato, ma non ricevo né una telefonata né un bigliettino. Una villania senza giustificazioni da parte del direttore generale».
Ultime domande veloci. 1) Rapporto con la religione? 
«Sono cattolico e ho conosciuto cinque pontefici, da Papa Giovanni XIII a Ratzinger, che è stato il mio preferito».
2) Paura della morte? 
«No, è una cosa naturale».
3) Musica preferita? 
«Richard Wagner e Anton Bruckner».
4) Ha tatuaggi? 
«Li odio. Se devo andare a letto con una donna, la prima volta, chiedo se ha tatoo: in caso affermativo rinuncio».
5) Rapporto con il sesso? 
«Buono, privilegio la qualità alla quantità».
6) La scelta professionale di cui è più orgoglioso? 
«“L’ultimo del Paradiso” di Benigni: fare 12 milioni di telespettatori parlando di Dante è stata una scommessa incredibile. C’era chi mi dava del matto...».
7) Cosa pensa dei giovani? 
«Li conosco poco, i social ormai hanno creato un gap tra le generazioni».
8) Le manca non avere figli? 
«No, i bambini non mi piacciono».
9) Che rapporto ha con la politica? 
«Disincantato, non mi aspetto miracoli».
Ultimissima domanda: quando tornerà stabilmente in Italia? 
«Chissà. Sicuramente entro 10 anni, magari anche tra pochi mesi».

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