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Ucraina, quei cortei arcobaleno che fanno il gioco degli aggressori

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Iuri Maria Prado
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L’hanno chiamata “staffetta per l’umanità”. Imbandierati d’arcobaleno, reclamano la “pace in Ucraina”. Non è la prima manifestazione pacifista che chiede il blocco degli aiuti militari al Paese aggredito dal macellaio russo: è l’ennesima. Solo che in quest’ultimo caso i cortei sfilano con un senso di impunità rafforzato, con la sfrontatezza resa possibile da quindici mesi di mancata pubblica condanna del collaborazionismo che manifesta il proprio orrore per le armi, sì, ma quelle date agli aggressori per difendersi, non quelle adoperate dagli aggressori per massacrare la popolazione civile. È il pacifismo che definisce “terrorista” il crollo del pilone di un ponte su cui gli aggressori fan viaggiare i convogli militari che da un anno e passa distruggono le città ucraine: terrorista quello, non il sistematico e deliberato massacro degli inermi, nelle loro case, nelle strade, nelle scuole, negli ospedali; non i saccheggi, non le decapitazioni, non gli stupri, non le deportazioni, non la rivendicazione del dovere di “bruciare i bambini ucraini”, non l’assedio delle città per prendere per fame e sete e freddo milioni di esseri umani.

Questi crimini sono perpetrati da mesi e mesi nel silenzio assolutorio del nostro pacifismo, che manifesta ovunque tranne che sotto l’ambasciata russa, che manifesta contro chiunque tranne che contro chi ha cominciato l’operazione speciale per ripulire il Paese governato da un pool di drogati e omosessuali. Da mesi e mesi, dal giorno stesso in cui l’autocrate russo muoveva la sua guerra contro il popolo ucraino, quel pacifismo copriva con il proprio silenzio addirittura l’esistenza di quei crimini, altro che denunciarli: perché riconoscerne l’esistenza avrebbe reso impossibile la reiterazione della menzogna delle guerre tutte uguali e tutte ingiuste, delle guerre sempre terribili e sempre causate dalle reciproche responsabilità di chi le combatte. Una chiacchiera oscena, insostenibile davanti alle immagini delle fosse comuni e delle stanze di tortura via via scoperte nei villaggi affidati alle cure denazificatrici della belva russa.

Dall’inizio della guerra all’Ucraina - cosa diversa rispetto alla guerra “in” Ucraina di cui si parla - quel popolo aggredito ha avuto all’estero un nemico non meno pericoloso a paragone di quello che lo bombardava: e cioè proprio il pacifismo, specie italiano, che ha trovato tempo, soldi, prime pagine e prime serate per denunciare ogni responsabilità in quel conflitto, tranne quella di chilo ha cominciato evi insiste sempre più selvaggiamente. Ed è il pacifismo su cui ha contato e continua a contare il medesimo aggressore, affinché sia dato il nome di pace alla propria vittoria, il nome di pace alla resa degli ucraini, il nome di pace al mondo che resta a guardare mentre la vita e la libertà di un popolo invaso vengono cancellate. 

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