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I tecnici si inventanola meritocrazia socialista

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Premi e benefit andranno non agli studenti più bravi, ma tenendo conto dell'impegno sociale e del reddito della famiglia

Matteo Legnani
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I professori liberisti costretti a tirare avanti con i voti della sinistra sono stati scoperti dinanzi alle scuole italiane impegnati ad esibirsi in una nuova complicata posizione di Kamasutra. È la meritocrazia socialista, ossimoro che rimanda a pratiche estreme in voga nei decenni passati: convergenze parallele, governi della non sfiducia e simili, escogitate anch'esse, come quest'ultima, per soddisfare un po' tutti i partecipanti.  Inserita nella riforma preparata dal ministro per l'Istruzione Francesco Profumo, la meritocrazia socialista prevede che ogni istituto scolastico scelga lo «studente dell'anno». Costui potrà contare su una borsa di studio, sconti sulle tasse scolastiche e altre agevolazioni. Detta in questo modo, sembra una cosa semplice, banalmente meritocratica. Roba che fino a oggi abbiamo visto nei telefilm americani, con le foto dei migliori studenti degli anni passati incorniciate e appese nella hall. E anche il nome della norma che racchiude il provvedimento, ribattezzata «pacchetto merito», illude facilmente.  Ma imitare gli Stati Uniti è un lusso che il governo che parla inglese non si può permettere, visto che campa solo finché glielo consente il Pd. Il partito di Pier Luigi Bersani considera la scuola una riserva esclusiva di caccia elettorale: in questo settore, più ancora che nelle fabbriche, fa asse con i sindacati per bloccare ogni tentativo di riforma seriamente orientato a valorizzare il più bravo (studente o insegnante che sia), ritenendolo una minaccia al valore primario dell'appiattimento generale, presidiato con le parole d'ordine «solidarietà» ed «eguaglianza».  Per risolvere l'equazione, i professori non solo hanno stanziato una quota irrisoria per il «pacchetto merito» («qualche decina di milioni per le misure a favore  dell'impegno nell'eccellenza e più di un miliardo di euro per la scuola di tutti», assicurava ieri Profumo a Pd e sindacati, scesi sul piede di guerra appena sentita la parola «merito»), ma hanno anche elaborato la variante alle vongole della meritocrazia anglosassone: il premio e i benefit non andranno allo studente con i voti più alti, ma a quello il cui rendimento sarà ritenuto migliore tenendo conto dell'«impegno sociale» profuso da costui e del reddito dichiarato dalla famiglia. Così, se non sei stato socialmente consapevole quanto basta, il tuo 8 in matematica vale meno del 7 del tuo compagno di classe preoccupato per l'inserimento dei rom o impegnato a rincorrere gli abitanti del quartiere per sensibilizzarli sull'uso dei gas serra. Se poi i tuoi genitori dichiarano al fisco ogni singolo euro, a portarti via la borsa di studio provvederà quell'altro, che ha la media di gran lunga inferiore alla tua, ma siccome dal modello Isee risulta che i suoi sono nullatenenti, per te non c'è partita. E pazienza se lui a 18 anni compiuti ha già il fuoristrada e tu giri su un motorino scassato. La soluzione non pare difficile. Se si vuole valorizzare il merito, bisogna dare il premio allo studente con i voti più alti, sic et simpliciter. Se si vuole aiutare chi, provenendo da famiglie economicamente deboli, mostra capacità e voglia di studiare, bisogna investire somme decenti in borse di studio. E ovviamente una cosa non esclude affatto l'altra. Se si vuole mischiare cose che dovrebbero restare separate, rifiutandosi di premiare gli studenti migliori in quanto tali solo perché il concetto di meritocrazia deve essere annacquato sino a perdere il proprio sapore, altrimenti il Pd non lo digerisce, Monti e i suoi ministri non devono fare altro che proseguire sulla strada già imboccata. Almeno, però, abbiano il buon gusto di non chiamarlo «pacchetto merito». di Fausto Carioti

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