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Così le Regioni buttano 2 miliardi di euro al mese

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Solo con l'applicazione dei costi standard nella sanità se ne risparmierebbero 12 all'anno. E altri 12 spunterebbero da una gestione "alla tedesca"

Giulio Bucchi
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Se fossero applicati rigidamente gli studi dei costi standard alla sanità, le venti regioni italiane risparmierebbero in un anno almeno 12 miliardi di euro.  Se poi si decidesse di riformare l'intero sistema degli enti locali facendo un mix tra il modello tedesco e quello spagnolo arriveremmo a un risparmio di altri 12 miliardi all'anno solo in ambito regionale. Nel complesso se l'Italia applicasse forme e costi del modello tedesco, secondo uno studio datato 2008 ma estremamente interessante della Regione Veneto e di Unioncamere Veneto, il minor costo potrebbe essere superiore all'1,8% del Pil. Adottando un modello spagnolo il beneficio sarebbe di 1,6 punti di Pil. Anche nel caso peggiore, metà delle risorse liberate ricadrebbe sulle Regioni. E dunque, senza toccare servizi, facendo cioè una oculata spending review, i cittadini sborserebbero solo per mantenere i venti grandi enti pubblici circa 2 miliardi di euro in meno al mese. Altro che attingere dalle pompe di benzine o alzare l'Iva, tagli e solo tagli servono per rilanciare il Paese. Ma certo non ai servizi. Eppure in base al testo uscito dal Consiglio dei ministri non dovrebbero esserci sforbiciate eclatanti  agli ospedali pubblici. Il fondo sanitario nazionale dovrebbe essere tagliato di tre miliardi in due anni: un miliardo, per il 2012 e due per il 2013. Le farmacie dovranno corrispondere alle Regioni il 6,5% della spesa contro il 3,65 di ieri. Poca cosa rispetto ai risparmi che si potrebbero ottenere con una diversa gestione. Soprattutto se si considera che per l'acquisto di beni  e servizi della sanità ci sarà un taglio solo del 5%. Un'operazione troppo leggera se si pensa che le pulizie di un ospedale al Sud costano mediamente il doppio che al Nord. Ma anche altri servizi come la mensa, le utenze telefoniche presentano enormi differenze da un ospedale all'altro della penisola. Se bollette e spese per i servizi non sanitari fossero ovunque i meno costosi, ogni anno si potrebbero risparmiare quasi due miliardi di euro: per l'esattezza, un miliardo e 690 milioni. Il vantaggio è ancora più evidente se si considera che la spesa complessiva delle Asl alla voce “servizi non sanitari” ammonta a 4 miliardi e 436 milioni. Ogni giorno di degenza comporta per un'Asl una spesa di oltre 800 euro a paziente. Su questa somma i servizi non sanitari incidono mediamente per 63 euro al giorno, ma con marcate differenze. Se in Lombardia tale spesa si limita a 22 euro, in Umbria è quattro volte tanto (92 euro).  In generale costi minori fanno bene non solo al portafogli dei cittadini, ma anche all'efficienza e alla qualità delle strutture sanitarie.  Alcuni esempi sono lampanti. Alla Ulss di Pieve di Soligo (Treviso) le utenze telefoniche costano 580.000 euro all'anno, pari a 3,27 euro per giorno di degenza. All'Asl H di Roma la stessa bolletta pesa per quasi 2 milioni di euro all'anno, pari a 5,91 euro per ogni giorno di degenza. Ma alla Asp di Cosenza la spesa è ancora superiore, e di molto: ben 4 milioni e 271 mila euro di bolletta, cioè 20,10 euro per ogni giorno. Livellare ovunque i costi alle tariffe più basse consentirebbe enormi risparmi: è la filosofia dei “costi standard” cui si ispira la riforma federalista dello Stato introdotta dal precedente governo e affossata da quello attuale.  I nuovi prezzi di riferimento per l'acquisto di beni e servizi sanitari pubblicati dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici contengono molte novità e parlano chiaro. Basta metterli in pratica. Secondo la nuova tabella il prezzo delle siringhe deve scendere del 56,5%. Tra i casi eclatanti vi è la differenza del 1.036% tra il prezzo di riferimento e quello mediano per i cerotti per fissaggio di aree estese, che a fronte di un prezzo medio di 1,47 euro, vedono scendere la tariffa di riferimento a 0,12 euro. Poi ci sono i costi di lavanderia, di stoccaggio rifiuti, di trasporto, delle mense e delle pulizie. Messe assieme le differenze, si scopre che sono cinque le Regioni per le quali il gap di efficienza e di qualità risulta particolarmente acuto: Campania, Sicilia, Puglia, Calabria e Lazio. Per raggiungere il benchmark, la Campania dovrebbe ridurre la spesa di oltre il 33% e aumentare la qualità di quasi il 90%. La Sicilia dovrebbe ridurre la spesa del 24% e aumentare la qualità anch'essa di quasi il 90%. Fatti gli aggiustamenti la Campania dovrebbe liberare risorse per oltre 3,4 miliardi di euro/anno. La Sicilia per oltre 2,1 miliardi. Nel complesso, le cinque Regioni più devianti potrebbero liberare risorse per circa 9,4 miliardi/anno, più del 77% delle risorse, in totale oltre 12 miliardi equivalenti a circa lo 0,8% del Pil. E non servono super tecnici. Solo la volontà di battere lobby e malaffare. Al contrario circa la metà di 89,7 miliardi che l'Italia ha pagato in più ogni anno nel decennio 2000-2009, ovvero 45,9 miliardi, è addebitabile a quella sanità che rappresenta la voce più problematica dei bilanci regionali.  Dulcis in fundo. Ci sono anche risparmi una tantum. Come dimenticare che a Bruxelles ci sono 21 sedi di rappresentanza regionale. Solo quella del Veneto è costata 3,6 milioni di euro. C'è ne è da tagliare, prima dei servizi. di Claudio Antonelli

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