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Quelli che...E' tornato Silviopuò ripartire la festa

I comici e i giornalisti militanti non vedevano l'ora del ritorno in campo del Cav

Matteo Legnani
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  Manca il più grande di tutti: Giuseppe D'Avanzo. E non è davvero giusto. Perché il carrozzone che si sta ridestando, incredulo di tanto regalo, si rimette in piedi senza il suo più grande artista. E nel giorno in cui Antonello Caporale e la sua corrosione dell'antropologia berlusconiana a mezzo intervistine passano da Repubblica al Fatto, bisogna evitare di cadere in un tranello. Bisogna leggere d'un fiato l'indignazione, l'ironia, lo sdegno, le risatine di questi e di altri giornali, e sapere una cosa: non potevano chiedere di meglio. La schiera sommersa di quei comici che Corrado Guzzanti ha bollato come reduci del Vietnam hanno di nuovo il capo dei Vietcong tra le mani, l'elisir di giovinezza di nuovo a disposizione. Il nemico, l'egoarca, il puzzone, «B» - di cui tutto sommato ci si era abituati a fare a meno con meno fatica del previsto - è in pista, e tutto sarà come prima. Al Fatto, dicono, si sono celebrati festini da far impallidire Villa Certosa; Michele Santoro trasformerà «Servizio pubblico» (e forse tutta La7) in qualcosa di nuovo e antico. E gli impegnati censori dei pericoli  della democrazia che possono finalmente riprendere il volto familiare e abbandonare le sembianze ostili e sfuggenti dello spread e dei consessi sovranazionali. Editorialisti che possono finalmente tornare a volare su canovacci sicuri, a battere strade note, a rispolverare vocabolari usati. Franco Cordero e Barbara Spinelli riprendono vigore e statura d'un colpo. Perfino Vito Mancuso. I giudiziaristi (ecco, è qui che D'Avanzo si fa rimpiangere di più) si guardano scoprendo   una rilevanza che stava venendo un po' meno. Già da oggi, visto che sì, sono arrivate archiviazioni e prescrizioni, ma Ruby è sempre lì, l'udienza è aperta e molto più succulenta. E poi ancora libri, analisi, sociologia. Beppe Grillo, per dire, è già un caso diverso: «Per arrestare il fenomeno, bisognerebbe trovare qualcuno che dice più cazzate di lui», aveva detto il Cav, e fosse vero vuol dire che ha poi risolto la ricerca davanti allo specchio. Per questo il rapporto tra guitto e oggetto dello scherno è mutato in pura contesa elettorale. Il ritorno è comunque servito, completo, rotondo: paragoni con le sorti del Milan, pensose riflessioni sulla contendibilità democratica del partito, note di Bonaiuti, battute sui divertimenti e la credibilità, le docufiction che ridiventano attuali, mediatiche scissioni interne. In due parole: che palle. di Martino Cervo  

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