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Spremuti come limonie i nostri soldi ai Caraibi

Matteo Legnani
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Zeppo com'è di esimi cattedratici, banchieri e avvocati il governo sa bene che pacta sunt servanda. È  un rispetto, diciamo così, a geometria variabile. Perché se si tratta di fregarsene dello Statuto dei contribuenti e perciò di  fregarli  con la retroattività del taglio delle detrazioni fiscali si può venir meno ai patti, se invece c'è da finanziare lo sviluppo dei Caraibi il Governo paga pronta cassa. A spulciare nella manovra - scusi ministro Grilli, ma va chiamata così perché i saldi sono tutt'altro che invariati: sono un aggravio di tasse spaventoso - si scoprono impieghi del pubblico denaro insospettabili, magari dovuti, ma inopportuni in questo momento di lacrime e sangue. La denuncia dei redditi dispersi è l'articolo 8 della legge di stabilità titolato: «Finanziamento di esigenze indifferibili».  Uno si aspetta di trovarci i soldi per le volanti di Polizia e Carabinieri, i quattrini per i terremotati dell'Emilia e dell'Aquila. Macché: lì ci sono miliardi che vengono spesi per onorare gli impegni internazionali. Che sono sì voci annuali dovute in forza ai trattati, ma che forse il governo - visto che sta prelevando altri 12 miliardi dalle tasche degli italiani – poteva accantonare per un anno per arrivare al (fittizio) pareggio di bilancio che è il totem di Monti. E invece no. Ecco l'elenco  -  parziale - di dove vanno a finire i nostri soldi.  Un miliardo e 84 milioni alla Banca Mondiale per la International Development Association, 319 milioni e spiccioli li diamo al Fondo Africano di Sviluppo, a quello Asiatico 127 milioni e mezzo, 4 milioni e 753 mila euro li versiamo al Fondo speciale per lo sviluppo della Banca per lo sviluppo dei Caraibi. Testuale: è uno sviluppo al quadrato! Per i Caraibi: per noi solo recessione.  Ma dentro questo articolo c'è un altro regalo. Mentre il governo stanga i nostri agricoltori rivalutando forzosamente del 15% i redditi dominicali, quelli sui quali pagano le tasse ed è una misura ancora più esosa e astrusa degli studi di settore,  concede 58 milioni di euro al Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo. Quando –  tanto per dirne una – l'Europa ci dovrebbe ridare proprio sull'agricoltura sei miliardi perché abbiamo versato più contributi di quanti ne abbiamo ricevuti.  Ma chiederli indietro pare brutto perché dobbiamo fare bella figura all'estero, che è un altra fissa del nostro primo ministro: «La credibilità è tutto». E anche su questo ci sarebbe da eccepire. Per esempio: lo Stato ha un debituccio di 40 milioni con le nostre Ong e sui fondi per la lotta all'Aids siamo morosi per 260 milioni e il Global Found minaccia di cacciarci sputtanandoci. Dunque anche in fatto di aiuti internazionali non sempre rispettiamo i patti. Ma certo non si poteva lasciare orfano di fondi il povero ministro Riccardi che un mesetto fa ha tenuto a Milano una messa cantata sulla cooperazione internazionale. Peccato che proprio i cooperanti contestino il ministro -  basta leggersi le note dell'Amref impegnata in Africa o quelle di Actionaid -  e sospettino che i nostri aiuti proprio disinteressati non sono. Servono  alle nostre industrie per accreditarsi e fare affari. Insomma è una solidarietà pelosa, ma così fan tutti. Non però quando tosano i contribuenti. Anche perché ci aspettava che essendo entrati nel sistema europeo a queste cose pensasse Bruxelles e magari la Bce. Neanche per sogno: paghiamo di tasca. Per aiutare - com'è giusto -  i poveri del mondo, anche se stanghiamo i nostri. Il ritocchino dell'Iva colpisce anche quelli che sono così poveri da non dover nulla al fisco. O quelli che sono così malmessi da dover ricorrere all'aiuto di qualche cooperativa sociale che d'ora in avanti verserà l'Iva al 10 e poi all'11% sulle proprie prestazioni assistenziali, dal 4% attuale. Però ai Caraibi quei miliardi, di vecchie care lire,   non si potevano negare.  Si ha la sensazione  che la legge di stabilità di Monti sia   come le vecchie finanziarie democristiane dove si infilavano alla chetichella favori, vantaggi, riposizionamenti. Perché a leggerla bene questa manovra ha una serie infinita di sorprese. La prima è la stabilizzazione dell'aumento delle accise sui carburanti che da temporanee diventano definitive. Le Ferrovie però possono continuare a succhiare soldi dandoci in cambio treni regionali sporchi, brutti e cattivi e che arrivano sistematicamente in ritardo. All'articolo 8 ci sono infatti 800 milioni per le Fs e 300 milioni per l'Anas oltre a 790 milioni in tre anni per la Tav Torino-Lione. Oppure ci sono 199 milioni per la Regione Campania che si vede ripianare a piè di lista alcuni buchi lasciati dalla giunta Bassolino. In coerenza con il riordino e la stretta sulla finanza locale!  Ma ci sono anche altre chicche. Come i 58 milioni e 131 mila euro che l'Italia versa – sia pure in tre rate -  «per la partecipazione alla spesa per la ristrutturazione del Quartiere Generale del Consiglio atlantico a Bruxelles». Quando si dice la spending review!   di Carlo Cambi

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