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Il Cavaliere striglia i suoi:"Dovete imparare da Veltroni,adesso fatevi da parte"

Silvio Berlusconi

Andrea Tempestini
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di Salvatore Dama Giocare su più tavoli. «Perché purtroppo noi un Renzi non lo abbiamo ancora trovato e bisogna tentarle tutte». Così Silvio Berlusconi ha spedito Angelino Alfano e Franco Frattini in Romania, al vertice del Ppe, per trattare con Casini, mentre lui (ufficialmente febbricitante) ha preferito rimanere a Milano, per tenere sotto controllo la crisi della Regione Lombardia e per chiudere l'accordo con i leghisti in vista delle elezioni anticipate. E, ovviamente, per continuare a lavorare alla organizzazione del suo nuovo partito.  Non che il raccolto di giornata sia entusiasmante. I rapporti con l'Udc rimangono i soliti. Cordiali, ma nulla più. Ieri, a Bucarest, ci sono stati diversi abboccamenti. E anche un tentativo di mediazione del presidente del Ppe Martens, ansioso di vedere alleati i partiti italiani che aderiscono alla famiglia del popolarismo. Ma niente di fatto. Si sa cosa vuole Pier: nessuna intenzione di fare accordi con Berlusconi, nessuna voglia di credere che la dirigenza del Pdl, a partire da Alfano, sia capace di affrancarsi dall'incombrante presenza del Cavaliere. Quindi l'ex presidente della Camera va avanti per la sua strada, con l'obiettivo di puntare all'elettorato in fuga dal partito azzurro, invece di dare una mano per risollevarlo.  Strategia plausibile. Ma che dà per scontata la parabola crepuscolare dell'ex presidente del Consiglio. Il quale invece punta al colpo di coda per mettere tutti in riga, subalterni di partito ed ex alleati. Con Casini, Silvio spera di regolare i conti il 28 ottobre quando si voterà in Sicilia. I sondaggi lasciano ben sperare sulla vittoria di Nello Musumeci. Ma soprattutto il Cavaliere auspica la disfatta dell'asse Pd-Udc che sostiene invece il candidato Rosario Crocetta. Può essere l'occasione per dire “te l'avevo detto” e  per risottolineare la sterilità elettorale dell'alleanza bianco-rossa. Basterà? Una vittoria elettorale ridà fiato. Specie dopo un filotto di bastonate, quelle prese dal Pdl alle ultime elezioni. Motivazioni analoghe (il ritorno al successo elettorale) hanno spinto l'uomo di Arcore a offrire la  Lombardia alla Lega, pur di recuperare le ragioni di un'alleanza, andate perse con il sostegno azzurro al governo Monti. Una decisione che ha fatto infuriare mezzo partito. Anzitutto il “sacrificato”, cioè Roberto Formigoni, presidente in carica della giunta lombarda. Ma anche gli ex An, che non vogliono mollare un incarico così strategico ai leghisti. Sarebbe la terza Regione del Nord, dopo Piemonte e Veneto, a essere “regalata” al Carroccio. Troppo. Ignazio La Russa è critico sulla candidatura del leader leghista Roberto Maroni. E ieri ha proposto le primarie di coalizione, lasciando intendere di voler chiedere che una candidatura del Pdl (l'ex sindaco di Milano Gabriele Albertini) si contrapponga a quella dell'ex ministro dell'Interno. E che vinca il più popolare.  Anche in questo caso gli ex An, ieri riuniti in un vertice-sfogatoio,  hanno avvertito il disagio di non essere coinvolti nelle scelte. Di subirle. E a questo punto iniziano a sospettare che ci sia una strategia per spingerli fuori dal partito. È così? Si sa che Berlusconi vuole dare vita a un grande ricambio generazionale. E certo non vuole lasciare al Partito democratico il primato del ringiovanimento della classe dirigente: «Se quelli lasciano a casa D'Alema e Veltroni, noi non possiamo portare in Parlamento chi ha la sua stessa anzianità politica». Tesi sostenuta anche dai quarantenni del Pdl come Fabio Rampelli, intervistato da Lettera 43.  E c'è chi, fiutata l'aria, toglie elegantemente il disturbo senza resistenze. «Non ho alcuna intenzione di ricandidarmi», ha annunciato l'ex presidente del Senato Marcello Pera alla presentazione del libro di Barbara Romano sul “caso Lusi”: «ho già dato, la mia stagione politica è finita».

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