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D' Alema, dopo lo yacht si fa gli ulivi d'oro

Lucia Esposito
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Produce spumante rosé, ma gli piace chiamarlo «champagne in esilio». È più chic. Non ha dimenticato l'Ulivo di Prodi, ma gli preferisce decisamente l'ulivo secolare del giardino, che vale 1.500 euro. Che poi non è niente, se confrontato ad altri alberi ancor più rari, che s'è regalato: un giuggiolo da 15mila euro, per esempio. Mostra la sua tenuta messa su con i soldi dell'Europa (60mila euro) e la consulenza dell'enologo dei vip: 16 ettari di vigneto, un paio di colline, un casale trasformato in residence d'été, pieno di gioielli del design, uova di Fabergé e collezioni di gufi. Tutto green naturalmente, con temperatura costante, sempre 25 gradi all'interno. E poi esibisce i suoi cani, che azzannano persino più di quanto azzannava lui. «Sono molto cattivi, sbagli una mossa e ti uccidono», dice con orgoglio. Quello che gli piace più di tutti è Ajace, così feroce da dover rimanere rinchiuso in gabbia: «Sempre obliasti, Ajace Telamonio, ogni prudenza in guerra...», recita di slancio citando Vincenzo Cardarelli. E si capisce che gli piacerebbe fosse un'autobiografia. Infatti , aggiunge, questo cane «non abbaia». Morde direttamente. Sembra quasi la caricatura di se stesso il Massimo D'Alema che salta fuori dai video inediti e dalle pagine del libro di Alan Friedman («Ammazziamo il Gattopardo», Rizzoli): per anni l'hanno accusato di avere un debole per il lusso, dalle scarpe alla barca a vela, e lui qui rivendica il diritto a circondarsi di un giuggiolo da 15mila euro; l'hanno accusato di essere snob e lui parla di «champagne in esilio» prodotto con l'enologo dei vip; l'hanno accusato di essere aggressivo e lui qui si esalta a mostrare cani con denti «che sembrano squali». «Penso ai canini di D'Alema. E al collo di Prodi», commenta Friedman con anglosassone perfidia. In casa spuntano due teiere originali della rivoluzione francese e una candela rossa che raffigura Mao. Avanti popolo, alla riscossa, con lo spumante rosé. Quella che è stata mostrata l'altra sera nel video di Piazzapulita, e raccontata nelle pagine di «Ammazziamo il Gattopardo», è la tenuta di Otricoli, in Umbria. D'Alema se l'è comprata per consolarsi della vendita della barca a vela, la famosa Ikarus. È ancora un po' arrabbiato per quel distacco, così arrabbiato da risultare confuso. Da una parte, infatti, dice che barca a vela non può essere sinonimo di lusso, dall'altra dice che l'ha venduta perché costava troppo mantenerla. La contraddizione è evidente. Comunque lui l'ha risolta a suo modo: si è comprato 16 ettari di vigneti, pregiati filari di cabernet franc e pinot nero che danno 35mila bottiglie l'anno di un vino che è entrato fra i primi 320 del mondo. Se questo è risparmiare... Eppure il compagno D'Alema non si accontenta. Al giornalista indica un ex monastero che sovrasta la sua tenuta e fa capire che vorrebbe comprarlo. «Se l'azienda andrà bene, forse farò un po' di soldi...», dice. Si capisce: finora, con le piante da 15mila euro e l'enologo delle celebrity, è andato al risparmio. D'Alema si presenta per l'intervista in jeans, scarpe da ginnastica e polo bianca firmata Les Copains. «Abbigliamento da vero viticoltore», annota Friedman che evidentemente conosce i viticoltori assai meno della finanza. In effetti: avete mai visto qualcuno che pota le viti con la polo firmata Les Copains? Il peggio però arriva quando l'ex segretario Ds smette di mostrare il suo podere e comincia a parlare. Si pavoneggia con il libro di Condoleezza Rice che lo cita (bye bye Massimo, ricordate?), si compiace per qualche telefonata con Berlusconi, si vanta come al solito per i soliti convegni a Cracovia o dintorni (c'è sempre «gente importante» che vi partecipa, ovviamente) . Ma quando si tratta di arrivare al punto, svicola sempre. Glissa. Gli chiedono della Cgil e lui si mette a recitare la storia d'Italia, gli chiedono dell'economia e lui risponde che non c'era mai, e se c'era dormiva («io non c'entro, io no...»), se la prende con il federalismo perdendosi in un lungo racconto su un cantiere alla foce del Tevere, ma dimenticando che le riforme del federalismo le hanno promosse lui e il suo partito… Prende vita solo quando gli citano Prodi: allora scatta «come una tigre infuriata (o forse come un gattopardo)», annota Friedman. Nega il complotto del '98, parla con vigore di menzogne e di «odio politico». Ma è solo una fiammata. Subito dopo torna a inserire il pilota automatico, con parole sfuggenti e discorsi in politichese che al giornalista anglosassone ricordano Andreotti. Un Andreotti di sinistra, grande difensore dei partiti e della prima Repubblica, un Andreotti pieno di rimpianto per il passato, ma anche un Andreotti con spumante rosé, il giuggiolo da 15mila euro, il design e il cane Ajace che non abbaia ma morde direttamente. Un po' strano, no? Quando saluta Friedman, D'Alema gli fa un complimento: «La leggo sull'Herald ogni giorno e spesso sono d'accordo con quello che scrive», dice. E il giornalista non ha il coraggio di rispondergli la verità: è da 10 anni che non scrive più sull'Herald. Andreotti l'avrebbe mai sbagliato? Povero D'Alema, caricatura di se stesso, fa quasi tenerezza: i complimenti non sono mai stati il suo forte. Ma adesso il vero problema è che, con buona pace di Ajace, non riesce nemmeno più ad essere cattivo: cerca di sputar veleno, e gli escono solo nostalgia, ceramiche in design e pinot-cabernet. di Mario Giordano

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