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Sovvenzioni statali alla cultura, l'orrore burocratico: un'equazione per accedere al Fus

Andrea Tempestini
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I ceppi dell'umanità tormentata sono fatti di carta bollata, sospirava l'ex burocrate Franz Kafka negl'indimenticati Colloqui con Gustav Janouch. Se Kafka avesse conosciuto Dario Franceschini e i suoi stroboscopici decreti di «semplificazione» dal ministero dei Beni e delle Attività culturali gli si sarebbe aperto un mondo. Prendete l'ultimo decreto del primo luglio (su Gazzetta Ufficiale n.191 del 19 agosto 2014). Nella parte che assegna agli operatori nei settori di musica, danza, circo, circhi le sovvenzioni dal Fus -il mitico Fondo Unico dello Spettacolo- il famigerato «Allegato A»-, a pagina 39, s'erge un'equazione che definisce l'ammnontare delle somme erogate (parliamo di 400 milioni di euro all'anno). Un'equazione incomprensibile. E non è perché uno ha fatto il classico e con la matematica non ci prende, eppoi ha fatto, apposta, il regista, il ballerino o l'attore. No. La formula servirebbe per capire come si calcola il «punteggio massimo attribuibile all'indicatore iesimo per la definizione del valore dimensionale». E come si calcola? «Semplice: VD tot= VDs1+ VDs2* "… + VD sn) ». Una sfilza di cifre tutte fratto - non si sa perché - 40, che hanno terrorizzato il collega Sandro Cappelletto della Stampa, l'unico indomito che, fino a ieri, aveva osato addentrarsi tra le pieghe del del decreto. Scrive, infatti, Cappelletto, con raro senso dell'orrore burocratico: «Per i puntini di sospensione il decreto ha una vera e propria libido: «1) VD max - 2)… - 3)… - …? Che cosa significa “verifica del valore dimensionale dei soggetti richiedenti per la costruzione di sotto insiemi omogenei”»? Tranquilli: «Nel caso di presenza di un numero non sufficiente di soggetti per la costruzione di 3 sotto-insiemi, si provvederà a costituirne quanti possibile secondo le regole». Cappelletto non si capacita di tutto ciò. E, con una lettera aperta al ministro Franceschini, azzarda che, per definire i nuovi criteri atti all'erogazione e le modalità per liquidazione e anticipazione di fondi pubblici per gli «spettacoli dal vivo», vi sia stato, di certo, lo zampino di un hacker burlone infilato nel pc del legislatore. Tanto più che il ministro Franceschini e lo stesso premier Renzi avevano strombazzato in tutte le salse la necessità estrema di «semplificare la nostra burocrazia». E, per l'appunto, voilà, ecco la Map, la «media aritmetica ponderata ai fini della costruzione e del popolamente dei sottoinsiemi». Purtoppo, niente hacker. Sicché abbiamo provato anche noi ad infilarci nel decreto, slaomando tra la selva dei buoni propositi lessicali, tra gli «obiettivi strategici» , il «ricambio generazionale», «l'interazione tra lo spettacolo dal vivo e l'intera filiera culturale, educativa e del turismo». Soprattutto, educativa. Con VD (V1MAX/V1min)xPVD1MAX tot=(VDs1+VDs...) ecc.., con la formula dell'umana follia negli occhi, oso. Contatto i Beni Culturali, per avere spiegazioni. «Il ministro non c'è, è a Francoforte, provi con la direzione generale dello Spettacolo dal vivo». Oddio. Avendo letto La Repubblica dei mandarini di Paolo Bracalini (Marsilio) so che il responsabile dello Spettacolo dal vivo, il potentissimo Salvo Nastasi cuore decisionale della cultura pubblica italiana, mi rimpallerà all'infinito. Infatti. L'ufficio di Nastasi mi rimanda all'ufficio di Franceschini (un altro, non quello di prima) il quale, ora, risulta essere a Milano. La burocrazia funziona perfettamente anche nella catena d'informazioni interna. Informo, allora, gli informatori del ministro dell'esistenza della formula in questione. Mi mettono in uno stand by che dilata i tempi in modo proustiano. D'altro canto, si tratta del ministero della Cultura. Dopo ore ricevo risposta ufficiale: «Certo, a vederla spaventa, la formula...» Ebbè, faccio io. «Ma mica chi chiede i fondi deve risolvere l'equazione, sa?». Ah no?, rifaccio. «Noo. Noi l'Allegato A l'abbiamo messo lì apposta, così la gente capisce su quali parametri noi distribuiamo i soldi, e non ci dicono che non siamo trasparenti...». Ah, ecco, è una questione di trasparenza: così, vedendo un logaritmo lungo come un'anaconda, la gente intuisce i criteri d'assegnazione. Però. Astuti. «Però, certo, in effetti, visto così mette dei dubbi...», riprende il discorso l'ufficio stampa dei Beni Culturali. Ah, ecco, volevo ben dir... «...sa cosa le dico? Il 16 ottobre ci sarà un congresso con gli operatori culturali. E lì si daranno spiegazioni sull'informativa». Tocca aspettare il 16 ottobre. Intanto, mi torna in mente il dibattito sull'utilità del Fus attizzato dai liberisti dell'Istituto Bruno Leoni. Il Fus discende della legge Corona del '63 che, a sua volta, barattava gli aiuti dello Stato col divieto di realizzare opere in lingua inglese (il motivo per cui Dino De Laurentiis delocalizzò il suo cinema internazionale negli Stati Uniti). Il Fus venne istituito nell '85 con una legge dall'approccio decisamente dirigista che dirottava i fondi verso opere dall'inclinazione -diciamo- politicamente clientelare; oppure, su opere magari meritorie dal punto di vista artistico, ma non su quelle considerate sotto l'aspetto del valore commerciale del prodotto o della sostenibilità finanziaria del progetto. Il Fus, insomma, da strumento per il popolo è spesso stato il viatico di un'oligarchia, la solita. Ma il vero problema qui, è che il caso dell'Allegato A evoca tanto la tassa sui volontari del soccorso alpino, la richiesta dall'Inps dei rimborsi di un centesimo a rate, o i 7500 tipi di Tasi a seconda della latitudine. Qua siamo al ridicolo. La lotta alla burocrazia tanto invocata da Renzi resta il ceppo di carta bollata kafkiano, e che rimane il nostro vero, invicibile, nemico... di Francesco Specchia

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