Belpietro: ecco perché Renzi ha paura e va a caccia di montiani e forzisti
Da quando Matteo Renzi è riuscito a imporre il suo candidato al Colle non c'è più niente che lo tenga. Il nostro presidente del Consiglio viaggia a qualche metro da terra, convinto che dopo aver spianato l'opposizione interna ed esterna, presto camminerà sulle acque e moltiplicherà anche pani, pesci e occupati. Lo stato d'animo del premier - che, vale la pena di ricordarlo, appena dieci anni fa era il giovane segretario della Margherita in una provincia come quella di Firenze in cui contavi solo se eri diessino - è comprensibile. Meno comprensibile è però che non faccia nulla per nasconderlo, lasciandosi andare a uscite che paiono quelle di un bullo di provincia. L'altro ieri ai ministri dell'Udc che cercavano di salvare almeno la poltrona se non la faccia ha risposto di non avere tempo da perdere con i partitini, aggiungendo che se qualcuno deve leccarsi le ferite non è certo affar suo. Un tono sprezzante e sicuro che ieri ha replicato, ma questa volta rivolto all'ex compagno di patto Silvio Berlusconi. Dopo la fregatura del Quirinale, il Cavaliere ha riunito l'ufficio di presidenza e ha dichiarato decaduto il patto del Nazareno, precisando che Forza Italia valuterà di volta in volta se votare a favore o contro le riforme. Beh, sapete che ha risposto il presidente del Consiglio per tramite della vicesegretaria del Pd Debora Serracchiani? Meglio, così: non avendo tra i piedi Berlusconi e Brunetta riusciremo a farle prima. Ora, si può discutere o meno se le riforme siano di buona o cattiva qualità, se siano utili o dannose per il Paese. Ciò che non è in discussione è che se a un anno di distanza questi provvedimenti non sono legge dello Stato, la colpa non è di Forza Italia, ma della minoranza del Partito democratico. Sono loro, i sinistri del Pd, ad aver rallentato la lunga marcia del Grande timoniere toscano, non certo il Cavaliere, che anzi per dodici mesi ogni volta che si è reso necessario è andato in soccorso di Renzi, facendogli trovare quei voti che mancavano, anche a prezzo di perdere i suoi. Senza di lui di sicuro l'Italicum non sarebbe arrivato in porto e se lo fosse sarebbe stato molto diverso da quello approvato, nel senso che non garantirebbe al premier di poter vincere le elezioni e per di più con la possibilità di scegliersi (lui, non gli elettori) gli uomini da mandare in Parlamento. Dicendo quel che ha detto, Renzi non solo mistifica la realtà, ma soprattutto tende a nascondere il vero problema che ha davanti, ossia che se fino ad oggi ha giocato le sue carte su più tavoli, quelli del Pd, di Forza Italia e infine perfino di Cinque Stelle e Sel, ora rischia di essere ostaggio della sinistra radicale. Che cosa intendiamo dire? Che se mentre, fino all'altro ieri, il premier teneva a bada la sua minoranza interna cercando e trovando sponda in Silvio Berlusconi e in Forza Italia, adesso, avendo tirato un pacco all'alleato che lo ha sostenuto dall'esterno e anche a quelli che come Ncd lo hanno fatto dall'interno, il secondo forno con cui finora il suo governo ha panificato non sarà più disponibile. Senza Berlusconi le riforme viaggeranno più spedite? Dipende, se il presidente del Consiglio si piegherà ai voleri dei dissidenti su legge elettorale, Jobs act e altro è possibile che le leggi abbiano un iter meno accidentato. Ma è anche altamente probabile che le norme varate siano assai meno efficaci di quelle che Renzi vorrebbe varare. Mandando all'inferno il Belzebù di Arcore, il presidente del Consiglio si lega ad altri diavoli e non è detto che finisca meglio che con il Cavaliere. Né si può pensare che il governo riesca a stare a galla con un altro gruppo di responsabili composto da ex Ncd, ex Cinque Stelle ed ex Forza Italia, come da un paio di giorni il premier lascia filtrare nella speranza di convincere Berlusconi a non fare un passo indietro. A parte che forse qualcuno potrebbe storcere il naso di fronte a una compravendita di parlamentari, ma pensate davvero che ci si possa fidare di gente sempre pronta ad andare in soccorso del vincitore? Rischieremmo di rivedere a sinistra quello che vedemmo nel 2010 con Scilipoti e Razzi, con i risultati che sono noti. Dunque non è vero che ci sono tre forni, come si è scritto in questi giorni: quello di governo, quello delle riforme e quello per il Quirinale. Forse i tre forni ci sono stati, ma oggi Renzi rischia di averne uno solo ed è composto dal suo partito cui si uniscono Sel e un po' di Cinque Stelle scappati da casa Grillo. Se rompe con il nuovo centrodestra e soprattutto con Forza Italia, il presidente del Consiglio si lega alla solita sinistra, ovvero a chi gli ha messo sin dall'inizio i bastoni fra le ruote per quanto riguarda le riforme e anche per il lavoro. Insomma, Renzi fa il bullo, ma - come ogni buon giocatore d'azzardo - sta bluffando. È vero che a Ncd e anche a Forza Italia conviene essere della partita piuttosto che esserne esclusi, ma conviene anche a Renzi, il quale poi dovrebbe governare con Vendola. Del resto, nonostante alzi i toni, l'ex Rottamatore guarda con occhio attento gli umori degli italiani. Un occhio tanto attento che per aver sottomano i sondaggi sul suo consenso, Palazzo Chigi ha appena sottoscritto un contratto da 70mila euro. E la chiamano spending review. di Maurizio Belpietro [email protected] @BelpietroTweet