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Riforme, il vicesegretario Pd Lorenzo Guerini lancia l'appello a Silvio Berlusconi: "Torni a votare con noi"

Giovanni Ruggiero
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«Mi è veramente dispiaciuto che Pippo se ne sia andato. Ho con lui un rapporto personale molto buono. L'ho chiamato per assicurargli che umanamente tra noi non cambia niente e che la nostra amicizia non viene meno. La politica è importante, ma i rapporti umani devono essere sempre salvaguardati. E credo che a lui abbia fatto piacere la mia telefonata». Lorenzo Guerini, vicesegretario del Pd, è il “Gianni Letta” di Matteo Renzi, il poliziotto buono che fa di tutto perché il filo tra il leader e la minoranza non si spezzi per sempre. Sembra davvero rattristato per l'addio di Civati, anche se la notizia non l'ha colto certo di sorpresa. «È da mesi che l'annunciava…». C'è un malessere molto forte nel suo partito. Tra quelli che non hanno votato l'Italicum né la fiducia al governo ci sono molti fondatori del Pd. Non vi preoccupa la cosa? «Non la banalizzo, ma ritengo anche che non vada drammatizzata. L'atteggiamento di gran parte dei parlamentari, anche di quelli che non hanno sostenuto Renzi al congresso, è stato orientato alla responsabilità. È anche grazie a questo se l'Italicum è stato approvato». E con gli altri la frattura è ricomponibile o no? «Il passaggio politico è stato molto aspro, non lo nego. Nei prossimi mesi bisognerà ricostruire relazioni meno conflittuali». Spetta a Renzi o ai dissidenti fare il primo passo? «Sulla scelta di chi deve fare il primo passo si rompono molti matrimoni. Ognuno deve fare quei passi che derivano dalla propria responsabilità. E io sono convinto che tutti li faremo». Con le forzature delle ultime settimane Renzi ha dato l'impressione di volere la scissione. «Non è così. La forzatura l'hanno fatta i dissidenti. La scelta della fiducia non era altro che la traduzione sul piano parlamentare dell'importanza che la legge elettorale e le riforme hanno per questo governo». Era proprio necessario cacciare dieci parlamentari Pd dalla commissione Affari costituzionali? «La proposta è stata avanzata dagli stessi parlamentari che sono stati sostituiti». Non è proprio così. E non era mai successo prima. «Guardi, abbiamo discusso per mesi su un argomento su cui si sono pronunciati tutti gli organi del partito, la linea è stata approvata dai gruppi parlamentari e poi alcuni hanno deciso di dissociarsi comunque dalla decisione assunta. Il vulnus vero è stato quello». Bersani, Bindi, Letta, Speranza e altri non vogliono nemmeno sentir parlare di Partito della nazione. Restano fedeli all'idea dell'Ulivo, che vi accusano di aver tradito. «L'attuale Pd sta realizzando molto dell'impianto originario dell'Ulivo, cioè di un centrosinistra riformista che accetti la sfida di governare il Paese e abbia l'ambizione di parlare a tutti gli italiani». Il governo ha sbaragliato la minoranza Pd sull'Italicum, ma ora rischia di franare sull'economia. La disoccupazione è tornata a crescere toccando quota 13% e quella giovanile è oltre il 43%. Il Jobs Act ha già fallito? «Il Jobs Act nasce proprio dalla nostra consapevolezza che il lavoro era ed è la priorità. I decreti attuativi della legge delega sul lavoro sono entrati in vigore a metà marzo, mentre sono di gennaio gli incentivi per i contratti a tempo indeterminato, di cui già registriamo un aumento. Credo quindi che gli effetti del Jobs Act si potranno stimare solo dopo l'estate. Sappiamo comunque che non è una singola misura che può risolvere il problema dell'occupazione. Serve un concerto di provvedimenti che devono essere assunti sia a livello nazionale sia dall'Europa, che ha il compito di incentivare crescita e investimenti». Le imprese non stanno facendo la loro parte? «Tutti dobbiamo puntare sul nostro coraggio, anche alla luce dei primi dati positivi che registriamo soprattutto sul Pil. Questo Paese può uscire dalla crisi solo se le imprese ricominciano ad assumere. L'obiettivo delle riforme è realizzare un contesto che favorisca la volontà delle imprese a investire. Credo di poter dire che nessuno ha più alibi». Sulla riforma della scuola avete già aperto tavoli, promettendo 100.000 nuove assunzioni e “commissariando” i presidi con i comitati di valutazione. L'impressione è che stiate calando le braghe davanti ai sindacati… «È un'impressione sbagliata. C'è stato uno sciopero ed è giusto che il Pd, anche per le sue responsabilità di governo, si confronti con le ragioni di quella manifestazione, spiegando che molte di quelle domande hanno già le loro risposte dentro la riforma. Voglio ricordare che siamo il primo governo che mette soldi sulla scuola, sia sull'edilizia che sulla formazione dei docenti, intervenendo per stabilizzare un numero molto significativo di precari come non era mai successo». Vedrà i sindacati della scuola. Quanto è disposto a cedere sulla riforma? «Non c'è nulla da cedere. Noi siamo innanzitutto interessati ad ascoltare. Poi, a spiegare. Ed eventualmente ad apportare qualche miglioramento. Ma l'impianto della riforma resta quello». Vi state rispostando a sinistra per coprirvi il fianco al Senato, dove la minoranza Pd minaccia di far saltare la riforma del bicameralismo? «Io non credo che le politiche del governo possano essere oggetto di mediazione tra le correnti del Pd». I dissidenti del Pd sono stati umiliati da Renzi, ma al Senato hanno i numeri per sabotare le riforme. Non teme vendette? «Nessuno è stato umiliato. Dopodiché, se qualcuno pensasse di utilizzare le riforme come terreno di rivincita sarebbe un irresponsabile. Ma sono certo che di irresponsabili nel nostro partito non ce ne siano». A Palazzo Madama bastano dieci senatori per fare un gruppo e lì, tra civatiani e bersaniani, sono una ventina. «Per fare un gruppo bisogna uscire dal Pd e io non credo che questo sia un sentimento diffuso tra i nostri senatori». Al Senato siete disposti ad accettare il soccorso dei verdiniani? «Noi speriamo che, quando ripartirà il dibattito sulle riforme costituzionali in Senato, ci sia una ripresa di ragionevolezza da parte di Forza Italia, che aveva condiviso tutto l'impianto della riforma. Mi auguro che possa esserci un consenso ampio in Parlamento e che si recuperi lo spirito che ha caratterizzato gran parte del percorso». Come risponde il vicesegretario del Pd ai governatori e sindaci del suo partito che non intendono più accettare profughi nelle loro città e regioni? «Essendo stato sindaco, capisco le difficoltà degli amministratori ad affrontare l'emergenza immigrati. Ma essendo stato anche presidente di Anci Lombardia, ritengo che questa situazione la si possa affrontare più efficacemente se la grande platea dei Comuni e delle Regioni si fa carico del problema assieme al governo. Risposte di chiusura rischiano di scaricare su altri la responsabilità». D'Alema in un convegno a Modena, il 23 aprile ha detto: «Se passa l'Italicum, Renzi ci porta a elezioni». «Trovo singolare l'interpretazione per la quale dotarsi di una legge elettorale che funziona significhi andare a elezioni. Abbiamo detto più volte che il nostro orizzonte è la fine naturale della legislatura». Barbara Romano

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