Matteo Renzi ecco dove può perdere Renzi
Non sarà stato ambiziosissimo, ma il primo obiettivo del fronte anti-renziano di sinistra può nondimeno dirsi ampiamente raggiunto: azzoppare il segretario-premier si doveva, e azzoppato lo si è. Il trucchetto ligure di Pippo Civati (che ieri ha ufficialmente presentato la nuova creatura “Possibile”) ha funzionato e l'area a sinistra del Pd ha dimostrato di pesare quel tanto che basta per mandare a gambe per aria i progetti dell'arcinemico. Una dinamica che, testata con successo sul piano locale, apre a scenari interessanti in chiave nazionale. In attesa che maturi quel che deve maturare, però, i ribelli rossi non hanno intenzione di stare con le mani in mano. Ora che l'avversario è a terra, l'occasione di indebolirlo ulteriormente non può essere lasciata scappare. Così, la giornata trascorre nel prevedibile rimpallo di accuse tra ortodossi ed eretici (copione: uno della maggioranza accusa i dissidenti di «averci fatto perdere», uno della minoranza risponde che «avete fatto tutto da soli», passa mezz'ora e altri due ricominciano). Dietro le quinte, però, sono già partite le grandi manovre per battere il ferro finché è caldo. E per indebolire Matteo Renzi, il tasto su cui battere resta sempre lo stesso: l'Italicum, che del futuro del premier resta il crocevia. Il punto è che intervenire sulla legge non si può più: con l'approvazione definitiva della Camera ancora fresca, le possibilità che Renzi voglia concedere ai nemici interni l'opportunità di rimettere mano alla riforma del sistema elettorale sottoponendola nuovamente all'ottovolante parlamentare sono nulle. Tanto più che il quartier generale ha deciso di muovere la guerra totale nei confronti della minoranza su ogni questione disponibile, a partire dalla incombente partita per la sostituzione del capogruppo alla Camera. All'arco degli anti-renziani, però, resta una freccia non secondaria: la riforma istituzionale. Azzoppando la quale è possibile innescare un effetto domino in grado di travolgere la riforma elettorale. Come noto, l'Italicum è progettato per eleggere una sola Camera, dando per scontata l'avvenuta abolizione del Senato in tempo utile per l'entrata in vigore (non a caso, ufficialmente sancita per il 2016). E se il ddl Boschi salta lasciando Palazzo Madama così come sta, allora alle urne si rischia di andare o con due sistemi elettorali diversi (Italicum alla Camera, Consultellum al Senato) o addirittura con la legge partorita dalla Corte Costituzionale qualora le cose precipitassero e la legislatura dovesse interrompersi prima dell'anno prossimo. La novità è che mai come ora gli avversari interni del presidente del Consiglio si riscoprono pieni di amici. L'idea di impallinare il capo del governo, inevitabilmente, ha parecchi estimatori anche al di fuori dei confini del centrosinistra: a partire da Forza Italia, in Parlamento c'è chi non vede l'ora di fare fronte comune col nemico del proprio nemico. E non è detto che la riforma istituzionale sia l'unico terreno su cui convergere. A breve sbarcherà infatti in Senato la riforma della scuola, che a sinistra è tema sentitissimo e su cui la minoranza del Pd ha già promesso battaglia: i dissidenti possono contare su una situazione numerica di favore (a Palazzo Madama la maggioranza è appesa ad una manciata di voti) e sull'ammissione di debolezza arrivata dal premier già prima del voto tramite apertura dialogante sulle modifiche da apporre al testo. Un invito a nozze, per chi chiede solo una possibilità di mettere le mani nella scatola dei fili per provocare il corto circuito. di Marco Gorra