Pansa, l'avvertimento a Renzi. Arriva una vendetta che lo farà cadere
Attenti al libro! E a tutto il veleno che spargerà. A sentire Il Messaggero, sempre molto informato su quanto accade a Roma, lo sta scrivendo Ignazio Marino, ormai ex sindaco della capitale. Ma pur sempre protagonista della stagione più pazza che il Campidoglio abbia vissuto, almeno nell' epoca moderna. Marino racconterà i due anni e mezzo della propria sindacatura. Le fonti saranno le mitiche agende di colori diversi, quelle che Ignazio ha promesso di mostrare passando da una tivù all' altra. E sempre secondo il quotidiano diretto da Virman Cusenza, farà tremare i pezzi da novanta del Partito democratico. A cominciare dal leader supremo, Matteo Renzi, per finire con il fantasma di un altro Matteo. Ossia l' Orfini, presidente del partito, nonché commissario dei democratici romani, un derelitto che rischia di veder finire una carriera renziana appena cominciata. A differenza dei politici di altre nazioni, i ras italiani non amano scrivere libri di memorie, neppure quando la loro stagione si è conclusa. Uno dei pochissimi che abbia osato farlo è Silvio Berlusconi, attraverso la penna di un giornalista americano che tuttavia si è ben guardato dall' indagare le zone d' ombra del Cavaliere. Ma di solito quasi tutti stanno alla larga dai terreni minati. Il caso più recente è quello di Walter Veltroni. Avrebbe potuto regalarci una travolgente testimonianza del suo passato di leader della sinistra. E invece si è rifugiato nella ricerca del papà perduto quando lui era bambino. Ammesso che il libro minacciato da Marino esca davvero, ci troveremo di fronte a un memoriale del tutto insolito. Per un motivo evidente: l' autore è un alieno rispetto ai big della Casta dei partitocratri. Non per nulla, ha accumulato un' infinità di soprannomi. A volte irridenti, a volte osannanti. Si va da Ignaro al posto di Ignazio, da Disgrazio a Cavallo pazzo, da Alieno a Marziano. Con il contorno di un arredo anch' esso strambo: lo zainetto, la bicicletta, la scorta dei vigili pedalatori, la Panda Rossa sempre in sosta vietata, la barba che una settimana c' è e l' altra no. Ma chi è per davvero Marino? Prima di tutto è un signore dal carattere di ferro. Poi è vendicativo. Una vera carogna. Imprevedibile. Narcisista. Con un ego enorme. E un' autostima infinita. Convinto di essere il più competente tra i possibili sindaci della capitale. Pronto a mettere in scena i diversi personaggi che ciascuno di noi nasconde. Nei giorni della grande crisi, si è presentato come l' eroe che ha sconfitto la mafia di Roma. Poi come un nuovo Salvador Allende, assediato dai colonnelli cileni nel Palazzo della Moneda a Santiago. Quindi come un redivivo Che Guevara che incita i suoi con un grido indimenticabile: «Siamo realisti, esigiamo l' impossibile!». Mi sono domandato spesso in che modo la politica italiana, sempre incline al compromesso e all' ipocrisia, abbia generato un personaggio alla Marino. Poi ho trovato una risposta nella biografia di Cavallo Pazzo. Prima di tuffarsi nella palude dei partiti nostrani, Ignazio era stato un bravo medico chirurgo, specializzato in trapianti di organi, a cominciare dal fegato. Laureato all' Università cattolica di Roma, aveva fatto i primi passi al Policlinico Gemelli. All' inizio degli anni Ottanta, quando aveva venticinque anni, si era trasferito dapprima in Inghilterra, a Cambridge, quindi negli Stati Uniti, presso l' università di Pittsburgh, un centro di eccellenza mondiale per i trapianti. Di qui era passato a dirigere un dipartimento del Jefferson Medical College di Philadelphia, famoso per i trapianti di fegato. Marino ha trascorso negli States molti anni. E da chirurgo straniero non ce l' avrebbe fatta a resistere in un ambiente tra i più competitivi. Immagino che sia stato quel tempo a mettere alla prova il suo carattere. La freddezza del chirurgo che attua un trapianto tra i più delicati. La tenacia nell' affrontare una professione che non è di tutti. La testardaggine nel fare meglio dei colleghi americani. La cattiveria nel restituire colpo su colpo e anche di vendicarsi, se mai fosse stato necessario farlo. Soltanto un tipo così poteva accettare un incarico micidiale come quello di sindaco della capitale. Era già stato eletto al Senato per due volte, nel 2006 e nel 2008. Poi venne rieletto nelle politiche del 2013, sempre per il Partito democratico. Poteva accontentarsi del seggio a Palazzo Madama. Invece si gettò nelle fauci del leone, decidendo di mettersi in gara per le comunali di Roma. Andò al ballottaggio con il sindaco uscente, Gianni Alemanno, il big di Alleanza nazionale. Vinse con il 63,9 per cento dei voti e entrò in Campidoglio. Da quel momento, si è comportato bene o male? Il Bestiario non ha la statura per giudicare. Ma può proporsi una domanda. Quelli che oggi hanno deciso di pugnalarlo sapevano di avere di fronte un osso duro come pochi? Penso di no. Altrimenti avrebbero adottato una strategia diversa. E soprattutto si sarebbero rivolti a qualche killer senza pietà. Invece l' assalto è stato affidato a un principiante del tutto inadatto al compito: Matteo Orfini. Orfini è la dimostrazione lampante che non sono gli incarichi a fare di un funzionario un leader. Ecco un quarantenne cresciuto nel vecchio Pci, rimasto un sinistro totale, diventato il presidente del Partito democratico per volontà di Renzi e infine schiacciato dal peso di dirigere il partito a Roma. E dunque diventare il superiore o il controllore di Marino. Come sia finita l' avventura dell' Orfini ce lo dice la sua faccia, vista venerdì a Otto e mezzo di Lilli Gruber. Certo, Cavallo Pazzo ha dovuto lasciare il Campidoglio. Ma l' autore dello sfratto ha il volto di un uomo costretto a vivere un incubo peggiore di quello di Ignazio. A torto o a ragione, gli resterà appiccicata la nomea del pasticcione, dell' incapace, del regista confusionario di uno spettacolo grottesco. Non potrà mai vantarsi di una vittoria sgangherata, senza onore. E dovrà stare molto attento all' ira del suo capufficio, il vero Matteo, ossia il Renzi. Qualche amico mi ha detto che nel Bestiario parlo troppo del nostro premier. E sono tentato di dargli ragione. Ma Renzi è la vera maschera dell' Italia 2015. Si è fatto fotografare mentre si dedicava alla corsetta mattutina su un lungomare dell' Avana, a Cuba. E il suo fedele Filippo Sensi ha spedito il santino a tutti i giornali italiani. Nel frattempo, in casa nostra accadeva di tutto. Dal disastro della capitale alla tragedia di Messina, rimasta per sette giorni senza acqua potabile. I retroscenisti garantiscono che Renzi sta incazzato nero. È convinto che il terremoto in Campidoglio sia opera di un complotto attuato dalla minoranza del Partito democratico. Sapete chi mi rammenta? Un signore che si chiamava Giuseppe Stalin. Lui era certissimo che il Cremlino fosse in pericolo per una congiura dei medici ebrei. E li fece fucilare tutti. Con Cavallo Pazzo, Renzi non potrà mostrare lo stesso rigore. In compenso qualcuno sostiene che il premier abbia già trovato il nuovo sindaco di Roma. Sarebbe l' attuale ministro della Sanità, Beatrice Lorenzin. È una donna giovane, tostissima, che vale tre maschi. Se il Campidoglio sarà suo, prevedo altri guai per il Fiorentino. La signora ci ha subito informati di rifiutare l' incarico. Ma in politica, mai dire mai. Giampaolo Pansa