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Maurizio Gasparri: "Una raccolta di firme per difendere Libero"

Andrea Tempestini
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«Ma che è Daesh?». “Stato Islamico dell'Iraq e del Levante”. Un acronimo. «Niente Daesh, sembra il nome di un detersivo... Gli italiani non capiscono. Bisogna chiamarlo Isis. Il califfato è lo Stato i-sla-mi-co. Sono loro che si fanno chiamare così. Basta con questo politicamente corretto», dice il vice presidente del Senato Maurizio Gasparri, annunciando una raccolta firme in difesa del direttore di Libero Maurizio Belpietro. «Ho contestato anche Cicchitto». Pure lui dice Daesh? «Esatto. Lunedì mattina, in Commissione Esteri. L'ha chiamato Daesh. Purtroppo pure Cicchitto si è uniformato al conformismo del politicamente corretto. Ma il numero uno è Gentiloni». Il ministro degli Esteri? «L'unico atto contro il terrorismo di Gentiloni è stato semantico. Non dice mai Isis. E se ne fa un vanto. Ecco perché noi dobbiamo dare il giusto nome alle cose, a maggior ragione». Isis. «La verità è che si sta cercando di attenuare la radice islamica del terrorismo. Che è tale, c'è poco da fare. Poi è chiaro che il 90 per cento dei musulmani non c'entra nulla con il fondamentalismo. Anche se, in questi giorni, sento poche voci che prendono le distanze dall'attentato di Parigi». Si aspettava maggiori distinguo? «È chiaro. Però non posso sperare che siano tutti come Al Sisi e Abdullah di Giordania. Ci sono esempi importanti, ma c'è tanta gente che tace e altra che addirittura fiancheggia». “Bastardi islamici”, il titolo di Libero. Che ne pensa? «Io non lo trovo sbagliato. Ma ho visto che c'è addirittura una raccolta di firme per proporre la radiazione di Belpietro dall'ordine dei giornalisti. Mi pare un approccio intollerabile. Uno può criticare un titolo, non essere d'accordo, non condividere, ma proporre la radiazione è davvero un atto di insolenza. Io ricordo che in questo Paese è stato recentemente assolto Erri De Luca». Lo scrittore. «L'ex militante di Lotta Continua, rimasto culturalmente legato a quel tempo, che ha elogiato i sabotatori della Tav. Ripeto: uno elogia il sabotaggio che si attua con la violenza e viene assolto in un tribunale, mentre qui si vuole radiare dall'ordine Belpietro. Ma andiamo! Lo si critichi, se quel titolo non piace. Ma questa minaccia paleosovietica è veramente intollerabile. Questa è una fatwa». Una fatwa? «Una guerra santa contro chi la pensa diversamente. Ricordo il caso di Alessandro Sallusti che, se non fosse stato graziato dal Quirinale, adesso sarebbe in galera. E ricordo il caso di Renato Farina, al quale è stata negata la possibilità di scrivere quando l'articolo 21 della Costituzione garantisce a tutti la libertà di espressione. Questa è la solita ipocrisia della sinistra, che si arroga il diritto di diffamare e di insultare, salvo poi accanirsi contro i giornalisti che non sono simpatizzanti di quella parte politica. Oggi siamo alla intimidazione preventiva. Anche se è sempre andata così...». In che senso? «L'Italia è il paese in cui, quando Montanelli fu gambizzato dalle brigate rosse, il Corriere della Sera, giornale in cui aveva lavorato per tanti anni, si limitò a scrivere “giornalista ferito”, omettendo chi fosse. Il direttore dell'epoca, Piero Ottone, dovrebbe ancora vergognarsi per quell'episodio. Questo sa cosa significa?». Cosa? «Che quando uno sta dalla parte sbagliata, non va bene neanche se è vittima del fuoco dei terroristi». Lei promuove una petizione. «Lancio in rete una raccolta di firme per garantire la libertà di opinione a Belpietro. Perché qui, secondo me, è in atto un tentativo di spostare l'attenzione». Cioè? «Ora pare che il problema sia Belpietro... Ma questi sono fondamentalisti islamici. C'è poco da dire. Urlano “Allah akbar” mentre sparano, mica urlano “Comprate Libero”...». intervista di Salvatore Dama

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