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Quirinale, l'accusa che affossa Prodi: "Prende soldi dal dittatore"

Giulio Bucchi
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  di Andrea Morigi Ci sono milioni di motivi per non candidarsi come presidente della Repubblica italiana. Nel caso di Romano Prodi, il settimanale tedesco Der Spiegel li quantifica in «cifre a sei zeri», collegandole al suo incarico di consulente del presidente del Kazakhstan, Nursultan Nazarbayev. Uno che «per essere un tiranno tuttavia», si fa affiancare da «qualche insolito sostenitore: gli ex cancellieri tedesco e austriaco Gerhard Schröder e Alfred Gusenbauer e gli ex primi ministri britannico e italiano Tony Blair e Romano Prodi, così come dal presidente emerito della Repubblica polacca Aleksander Kwasniewski e dal già ministro dell'Interno tedesco Otto Schilly». Tutti esponenti del centrosinistra, come si addice a un ex-comunista al potere dal 1989. Ognuno dispone dei saggi che più gli aggradano. Chi necessita dell'assistenza dell'ex inquilino di Downing Street, deve sborsare un «salario annuale di oltre 9 milioni di euro». Dunque se «Gusenbauer, Kwasniewski e Prodi prestano ufficialmente servizio come membri del Comitato consultivo internazionale di Nazarbayev», non possono certo essere trattati come i figli della serva. Del resto «s'incontrano diverse volte l'anno», l'ultima ad Astana alla fine dello scorso febbraio come riporta l'agenzia Kazinform (sic!). Per il disturbo «a ognuno di loro vengono pagate parcelle annuali con cifre a sei zeri», afferma Der Spiegel. Non che Nazarbayev sia inchiodato a qualche stupido patto di stabilità. Anzi, dispone del tesoro pubblico un po' come gli pare, secondo Human Rights Watch e questo gli ha consentito di instaurare «una dittatura postmoderna». Chi protesta finisce sotto tortura, denuncia Amnesty International. Comunque, per evitare fastidi, Nazarbayev dispensa con furbizia le immense risorse petrolifere di cui il Paese dispone. Contratto con l'Eni -  Nell'ottobre del 2007, lo stesso Prodi, allora presidente in carica del Consiglio dei Ministri della Repubblica italiana, si era recato in vista ad Astana per favorire la soluzione di una trattativa con l'Eni per lo sfruttamento di un giacimento a Kashagan. Basta il titolo dell'ultima fatica editoriale del professore, Capire il mondo, per coglierne il messaggio. Sa come funziona il meccanismo del potere e quanto può essere vantaggioso entrare nel giro giusto. Perciò, pur frequentando numerosi presidenti della Repubblica, non intende affatto diventare uno di loro. Lo danno tra i favoriti per il Quirinale ma lui si smarca, anzi schiva il colpo. Già nel febbraio scorso aveva smentito «nel modo più categorico» le voci che lo davano in corsa per il Colle precisando: «Da alcuni mesi ho assunto un incarico gravoso presso l'Onu per il Sahel. Considero questo impegno un modo per servire anche il mio Paese e l'Europa. Esso rappresenta l'unica mia priorità dopo l'uscita dalla politica nazionale». Non era stato sufficiente a far tacere le chiacchiere. Anche perché l'ex fondatore dell'Ulivo ammette di non occuparsi soltanto di aree desertiche e della fame nel mondo. «Se fossi interessato, in questo momento politicamente così delicato non sarei in viaggio tra Vietnam e Thailandia», spiegava il 21 marzo a margine di una conferenza organizzata dal Circolo della stampa straniera di Bangkok, aggiungendo di ricevere quotidianamente messaggi telefonici da colleghi a Roma che lo pregano di ricoprire un ruolo più attivo nelle trattative per l'elezione del successore di Giorgio Napolitano. Mortadella alla cinese -   Lo infastidiscono, magari, mentre lui è nel bel mezzo di una lezione a Pechino. Romano Prodi era stato invitato nel novembre del 2009 alla Scuola centrale del Partito comunista per un ciclo di conferenze. Il mese successivo aveva firmato un contratto con la Cctv, la tv di Stato cinese, per la quale commentava la politica internazionale. Insomma, stando al quotidiano China Daily, l'ex premier è considerato un «punto di riferimento per la strategia di crescita internazionale» anche dell'agenzia di rating Dagong. Lui spiega sul suo sito web personale che si tratta di una società «con cui non ho avuto e non ho alcun rapporto economico ma che ho conosciuto nel corso della mia permanenza in Cina e il cui arrivo in Europa dovrebbe essere salutato con favore». D'altronde, la Dagong è per il 60% di proprietà dell'ex funzionario di governo Guan Jianzhong, che ne è anche il presidente, ma non intende rivelare chi detenga il rimanente 40%: «Cosa penserebbe lei, come occidentale, se le dicessi che uno dei soci fa parte del governo? Io penso che se uno dei due fosse in qualche modo legato al governo, forse il Paese potrebbe anche riporre maggiore fiducia nella nostra compagnia».  Senza legami con il Partito, in uno Stato socialista non si va da nessuna parte. Così, Prodi si è scelto un proconsole a Pechino, Alberto Forchielli, fondatore e managing director di Mandarin Capital Partners, un fondo di private equity specializzato in investimenti tra Cina ed Europa. Con Forchielli, sempre nel fondo Mandarin, opera il vicepresidente di Dagong Europe Credit Rating, Lorenzo Stanca. È la business community tricolore, che grazie a Prodi si internazionalizza, avvalendosi della sua passata esperienza all'interno della banca d'affari statunitense Goldman Sachs. Di tornare in patria a perdere tempo in chiacchiere con i grillini non se ne parla neanche. Da noi il Capo dello Stato guadagna appena 250mila euro l'anno. E quelli per di più vogliono tagliare le spese.  

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