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Lega Nord tra botte ed espulsioni: meglio tardi che mai, pulizia fatta Con Maroni l'aria è cambiata

Gli incidenti a Noventa Padovana sono gli ultimi di una lunga storia di scontri interni. La fronda andava eliminata dopo il caso Belsito, però...

Giulio Bucchi
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  di Giuliano Zulin Chi ha la memoria corta potrebbe scandalizzarsi dopo aver visto le immagini del Consiglio nazionale della Liga Veneta. Peccato che la storia del Carroccio sia ricca  di scontri, anche fisici, ed espulsioni. Basta ricordare le sedie che volavano al congresso federale del 1998 a Bassano del Grappa, che portò alla cacciata di Fabrizio Comencini e dei venetisti, o i pugni e calci  al palasport di Varese del 1999, quando Domenico Comino tentò di parlare: la sua segretaria finì all'ospedale e lui fu espulso al grido di «traditore», «venduto», «mangiabistecche berlusconiste». Dove sta allora la novità? Anzi, si dovrebbe dire che Tosi in Veneto e Matteo Salvini in Lombardia, con l'operazione pulizia, non stanno che mettendo in pratica il vangelo di Umberto Bossi: un partito forte non ammette correnti o fronde. Così la Lega ha resistito per 20 anni, nonostante le acrobazie politiche del Senatur, le sconfitte o gli sgambetti degli alleati di governo. Il Carroccio adesso non sarà così forte come due-tre anni fa, ma per raggiungere il nuovo obiettivo, la macroregione, non può più permettersi di avere le serpi in seno. I padani sanno benissimo che l'autonomia delle tre Regioni del Nord sarà l'impresa più impegnativa della propria esistenza, perché sono in prima linea: se sbagliano, pagano. E stavolta non ci sarà più una seconda chance. Dopo l'annacquamento dell'idea federalista, secessionista e del progetto devolution, è politicamente vietato l'errore. Logico che chi mette zizzania non è più tollerato. Si può vincere solo se il gruppo è unito. Pochi, ma buoni. La Lega, per come è nata, è geneticamente incompatibile con le correnti. Non a caso i cosiddetti «barbari sognanti» maroniani sono nati per prendere il partito, non per fare opposizione interna.  Il clamore per i fatti di Noventa Padovana di ieri mattina sembra incomprensibile a chi non conosce bene il partito nordista. In realtà si tratta di un'operazione che andava fatta  un anno fa, dopo lo scandalo Belsito. Il Cerchio magico, ovvero tutti i dirigenti e i militanti che si sono auto-proclamati difensori dell'ortodossia bossiana, sono stati graziati da Maroni un po' perché temeva che un ritorno di fiamma del Senatur lo potesse indebolire subito dopo l'elezione a segretario federale, un po' perché non conveniva a Bobo - e quindi anche agli altri dirigenti locali - alzare polveroni a ridosso delle Regionali in Lombardia, che hanno consegnato alla Lega il massimo risultato col minimo sforzo. La «rissa dei conti» arriva dunque in ritardo. Cosa faranno gli espulsi di Lombardia e Veneto? Potrebbero creare un altro partito. Loro vorrebbero che anche Bossi uscisse dal movimento per creare una «cosa verde» non si sa bene con quale progetto, ma soprattutto con che potenziale elettorale. Se il Carroccio veleggia intorno al 4% quanto potrebbero incassare i cosiddetti bossiani senza Maroni, Zaia, Tosi e Cota? Forse Giuseppe Leoni o Manuela Marrone sarebbero in grado di ribaltare i risultati elettorali con i loro consensi? Per questo  il Senatur resterà nella casa padana che ha fondato.   La Lega invece ha in teoria la strada spianata, dopo le pulizie: i militanti che hanno seguito il nuovo corso potranno contare su una dirigenza di polso, che non ha più paura dei fantasmi del passato o di essere sempre paragonata a «quando c'era Bossi». Ovvio che, come dopo i grandi scossoni degli anni '80-'90, il Carroccio vivrà ancora contestazioni, insulti e baruffe. Certo è che dopo il blitz di Noventa l'aria è cambiata, con soddisfazione della stragrande maggioranza dei dirigenti. Chi comanda comanda,  legittimato dai congressi, quindi dai militanti.  Anche Maroni è stato chiaro: «C'è una sola Lega, fuori chi disfa». Non resta che vedere cosa combinerà la nuova Lega.  

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