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Pd, è caccia al "ribelle": espulsione per chi non vota Letta

Boccia, fedelissimo del premier incaricato, minaccia. Civati prova a mediare, dalla Serracchiani veto a D'Alema: "Meglio stia fuori"

Giulio Bucchi
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  di Tommaso Montesano L'avvertimento, di buon mattino, arriva dalla bocca di Francesco Boccia, uno dei fedelissimi di Enrico Letta: «Nessuna minaccia ai colleghi, ma ci sono regole che vanno rispettate ed è chiaro che chi non dovesse votare la fiducia al governo sarebbe fuori dal partito». Una sortita, quella del braccio destro del presidente del Consiglio incaricato, che evidenzia come sia proprio il Pd, il partito di cui Letta è di fatto il numero uno dopo le dimissioni di Pier Luigi Bersani, uno degli ostacoli maggiori sulla strada dello scioglimento della riserva da parte dell'ex ministro dell'Industria. A una settimana dallo psicodramma in occasione dell'elezione del presidente della Repubblica, infatti, la frattura nelle fila democratiche è più aperta che mai. Con una parte del partito che non vuole saperne di dare il via libera ad un governo destinato a nascere anche con il marchio dell'«odiato» Pdl. Per questo lunedì è in programma una riunione dei gruppi parlamentari per verificare l'entità del dissenso.  Il veto su D'Alema - Se la contrarietà di Matteo Renzi, almeno in apparenza, è rientrata grazie al passo indietro di Bersani - «Enrico Letta è una persona capace, chi sta in Parlamento spero non faccia mancare la fiducia», auspica il sindaco di Firenze - l'ostilità dei democratici contrari al governissimo non accenna a scemare. E questo proprio mentre Letta è impegnato nella difficilissima trattativa con il Pdl sul futuro dell'esecutivo. Da qui la minaccia di Boccia ai ribelli di ricorrere alle espulsioni. Una «guerra preventiva» finalizzata a puntellare la posizione del presidente incaricato. Il timore, infatti, è che un indebolimento del fronte interno fornisca al Pdl l'alibi per alzare continuamente la posta nel negoziato per il governo.  Peccato, tuttavia, che ampi settori del Pd non ne vogliano sapere di consentire la nascita di un esecutivo con parità di peso tra gli stessi democratici e il Pdl. Laura Puppato, che ha sfidato Bersani alle primarie, non fa nulla per nasconderlo: «Se ci sono Alfano e Schifani, allora non posso dare la fiducia. Diventa un problema di coscienza». Parole, appunto, che convincono Boccia ad intervenire. Inutilmente, visto che alla senatrice si unisce Giuseppe Civati, il deputato lombardo leader dell'ala giovanilista del partito: «Almeno il 25 aprile non parliamo di espulsioni». Per nessuno, aggiunge. Neanche per i grandi elettori che hanno affossato la candidatura di Romano Prodi alla presidenza della Repubblica. «Chi non è d'accordo va ascoltato, non va espulso. «Io, ad esempio, ascolterei volentieri i 101 che non hanno votato Prodi. Sarei felicissimo di conoscerli, oltretutto», chiosa. Quanto all'esecutivo che verrà, i dubbi restano tutti: «Il principale azionista del governo è Berlusconi». Dà manforte a Puppato e Civati anche la prodiana Sandra Zampa, storica portavoce del fondatore dell'Ulivo: «Suggerisco ai minacciosi dirigenti del Pd che, proprio per le maggiori responsabilità esercitate nella gestione del partito, dovrebbero oggi interrogarsi sulle ragioni del disastro prodotto e di essere più prudenti e rispettosi del travaglio cui ogni democratico oggi è sottoposto». Offensiva Prodiana - Ma il guaio, per Letta, è che i veti sui ministri non riguardano solo gli esponenti del Pdl in odore di promozione, ma anche i possibili candidati dello stesso Pd. La neogovernatrice del Friuli Debora Serracchiani, ad esempio, si mette di traverso rispetto al possibile ritorno di Massimo D'Alema alla Farnesina: «Per far nascere questo governo Letta, il nome di D'Alema non aiuta. Bisogna pescare un po' fuori...». Chi ha ufficialmente affilato i coltelli è la pattuglia prodiana, una dozzina di parlamentari, furibonda dopo la bocciatura dell'ex premier per il Colle. Ieri Sandro Gozi, deputato vicinissimo al Professore bolognese, si è vendicato sparando a zero su Giorgio Napolitano. «È felicissimo di essere stato rieletto presidente della Repubblica», ha detto, «era un'operazione su cui lavorava da tempo e che il fallimento della politica ha permesso». Apriti, cielo. Immediata, arriva la replica di Andrea Martella, uno dei vicecapogruppo del Pd a Montecitorio: «Suggerirei al collega Gozi una maggiore riflessione prima di chiamare in causa l'azione politica del presidente Napolitano. È chiaro come Gozi abbia fatto un'affermazione lontana dalla realtà e del tutto fuori luogo. Gli consiglio di riguardare con cura quanto avvenuto in Parlamento e di rileggere attentamente il messaggio del Presidente».   

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