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Con Berlusconi fuori giocol'Italia finisce alla Merkel

Angela Merkel

Il governo Letta è troppo debole per reggere alla condanna: i mercati si scatenerebbero contro le banche. E noi perderemmo la sovranità nazionale: ecco come

Andrea Tempestini
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La Borsa va a gonfie vele. E il titolo Mediaset ancora meglio. Sul fronte dei titoli di Stato le notizie  sono ancora migliori: calano i rendimenti, l'offerta piove copiosa sui Btp a 5 e 10 anni. Intanto, dal fronte delle imprese, arriva la notizia che la fiducia  è risalita ai massimi dal novembre 2011. Insomma, a leggere i dati in arrivo dalla finanza,  il rischio di uno «strappo»  politico non esiste. O, comunque, non è tale da condizionare più di tanto la congiuntura economica. Le cose, però,  non stanno proprio così. L'eventuale ribaltone giudiziario avrebbe grosse conseguenze. Nel presente e  in prospettiva.    Per carità, tra i partner europei si avvertono i primi segnali di nervosismo rispetto al governo Letta.   Ad esempio, il settimanale tedesco Spiegel boccia  l'esecutivo che «sembra anch'esso incapace di riforme vere»,  condizionato com'è dal potere di veto delle lobbies. Ma questo governo, nonostante   le mine  sul suo percorso, sembra in grado  di consentire al Paese di sfruttare l'alito di ripresa che soffia sui mercati. Soprattutto se saprà accelerare il passo sul fronte delle privatizzazioni. La navicella, insomma, va a strappi, però sembra marciare nella direzione giusta.  Per ora. Ma si andrà ancora avanti così una volta caduta, se mai cadrà, la spada di Damocle sulla testa di Berlusconi? Probabilmente no. Concediamoci un po' di fantafinanza. Senza voler invadere il campo della politica, una cosa sembra sicura: l'esecutivo, una volta venuto meno l'apporto di Berlusconi, sarà senz'altro più debole. Menerà per un po' vita grama oppure, com'è più probabile, cadrà alla prima curva sotto il fuoco amico. In ogni caso, sarà in grado l'esecutivo di far marciare le riforme-chiave che vanno varate prima che il fiscal compact non limiti la capacità di manovra di Palazzo Chigi a partire dal 2015? Sarà in grado un governo qualsiasi, compreso un Letta dimezzato, di avviare le privatizzazioni e di immettere nel sistema le risorse   per favorire la ripresa? O innescare le riforme   per il recupero di competitività? La risposta  è no. O, quantomeno, è quel che pensano a Bruxelles, al Fondo Monetario, alla Bce e, naturalmente a Berlino, dove  la Merkel guarda all'Italia come alla mina che potrebbe compromettere la sua rielezione.  Di qui una facile previsione: le riforme che l'Italia non è in grado di gestire da sola, dovranno essere imposta dal di fuori. Stavolta non ci sarà, probabilmente, una lettera destinata a Palazzo Chigi. Più facile che le istituzioni lascino ai mercati l'onere di svolgere il lavoro sporco, con un bombardamento sulla Corporate Italia, a partire dall'anello più debole: il sistema bancario, zeppo di Bot e Btp. Nel frattempo arriveranno gli «aiuti» finanziari, sotto forma di acquisizioni o, più facile, di prestiti garantiti  dagli asset  del Paese: le acquisizioni arriveranno dopo, quando gli esperti della Trojka saranno riusciti ad imporre quelle riforme essenziali (taglio delle spese, la scure sugli sprechi dell'area pubblica e così via) che l'Italia non si è rivelata in grado di approntare da sola. Un'esagerazione? Non è possibile, si può obiettare, che tutto questo possa dipendere dalla sorte giudiziaria di un uomo, per importante che sia. Vero. Ma l'uscita di scena di Berlusconi, in questa cornice, ha il sapore di una sconfitta della politica, incapace di governarsi e di governare. E  come è accaduto altre volte  non a tutti dispiace l'idea di esser governati dagli altri. Come nel '600, quando a Napoli la faceva da padrone Masaniello e a Milano regnava la peste.  E i lanzichenecchi facevano rotta su Roma.  di Ugo Bertone

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