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Referendum in Lombardia e Veneto, Cacciari non vota: "Perché poi...", cosa gli è uscito dalla bocca

Giulio Bucchi
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Anche Massimo Cacciari fa parte della truppa degli anti-referendum in Lombardia e Veneto. E sebbene il professore sia solitamente molto acuto, stavolta i suoi argomenti non vanno molto al di là di quelli usati dai suoi compagni astensionisti. Roba del tipo "Il referendum tanto non serve a niente" o un più scurrile "è una stronzata". L'ex sindaco di Venezia non si abbassa a tanto, certo, riconoscendo come "la domanda di autonomia sia sacrosanta". Epperò, agita il ditino, "viene declinata in modo distorto". "Non voto - spiega a Repubblica, quotidiano schierato contro il Sì -, non ho più tempo per atti inutili".  Il filosofo è stato uno dei precursori del tema del federalismo in Italia, insieme al padre fondatore della Lega Nord Gianfranco Miglio. Oggi però commette l'errore di infilare il voto in Lombardia e Veneto nello stesso calderone, ben più radicale, di Brexit e Catalogna. Da qui il suo ragionamento, questo sì "distorto": "Il futuro sarà dominato dagli imperi, che stanno organizzando la globalizzazione. Staterelli e micro-regioni chiuse saranno fatti fuori, schiacciati nella morsa di nazionalismi e i secessionismi. Solo un patto politico reale per costruire gli Stati uniti d'Europa, fondati su Stati federali, può evitare che il cuore dell'Occidente si fermi. Temo che oggi non ci siano le condizioni". Piccolo dettaglio: nessuno dei promotori e dei favorevoli al Sì (leghisti, forzisti, ma anche esponenti di spicco del Pd settentrionale) ha mai parlato di anticipo di secessione. Cacciari però punta il dito anche contro un principio che, secondo i promotori del voto, è alla base della giustizia economica e sociale: l'autonomia fiscale. "Nessuna regione può tenere per sé il disavanzo fiscale. Se succede, salta lo Stato", argomenta Cacciari, ignorando però che questo potrebbe essere il primo passo per far sì che le regioni meno virtuose inizino un loro, faticoso capitolo di spending review, razionalizzazione delle spese e riduzione degli sprechi. A Cacciari poi parte la frizione: "Con questa logica ognuno è legittimato a non pagare le tasse e ad arrangiarsi. Le nazioni si fondano sulla solidarietà dei loro popoli. Più è forte più prospera la comunità. Se non c'è, non c'è più il Paese". Ma che dire di quelle nazioni che si fondano sul parassitismo fiscale? Eppure Cacciari questo lo capisce, e lo mette anche nero su bianco: "La distanza tra Nord e Sud si allarga e non è più sostenibile. Non può crescere uno Stato in cui qualcuno solo dà e qualcuno solo prende. Il primo si sente truffato, il secondo soffoca vivendo di rendita". Come? Cacciari immagina una riforma federalista della Costituzione, con la creazione di "macroregioni" in grado di competere ad armi pari sul mercato europeo. Sogno difficile da realizzare, ammette egli stesso, negando però il primo passo rappresentato appunto dal voto popolare. Preferisce, il pensatore, buttarla in politica sostenendo che questi referendum "sono la campagna elettorale della Lega e del centrodestra, di Maroni e di Zaia. Alla fine l'ha capito anche Berlusconi".

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