Silvio Berlusconi, golpe 2011 e 2018: torna l'incubo. Il complotto finanziario contro l'Italia
Matteo Renzi è proprio alla frutta se ritira fuori lo spauracchio dello spread. Non sa come affrontare la corsa nei sondaggi del centrodestra, con Forza Italia primo partito della coalizione e in continua crescita, e rispolvera i fantasmi del passato. Stessa allusione che fa Ferruccio de Bortoli sul Corriere della Sera. Attento Berlusconi, sembra dire, che se vinci le elezioni l' Europa ha già pronte le sue trappole per farti di nuovo fuori. Leggi anche: Monti senza vergogna, golpe 2011: la confessione. "Perché fui scelto proprio io da Napolitano" Tanto l' uno quanto l' altro, nemici tra loro ma riuniti dal collante magico dell'antiberlusconismo, sono rimasti un po' indietro. Non solo sorvolano su sei anni di governi non eletti dal popolo, che dal 2011 hanno fatto più danni che cose buone al nostro Paese: dall' Imu di Monti alla riforma Fornero delle pensioni, dal Jobs act di Renzi e del Pd alla riforma costituzionale bocciata al referendum, per dirne alcuni. Ma soprattutto trascurano quanto in questi sei anni è stato finalmente chiarito, anche per merito del lavoro del professor Renato Brunetta: che lo spread fu un imbroglio e che quello che portò alle dimissioni dell' ultimo esecutivo Berlusconi fu un complotto, non solo internazionale ma anche di casa nostra. Con una sinistra irresponsabile che cavalcò quello che succedeva sui mercati finanziari a causa della speculazione e della debolezza della moneta unica, non certo dell' Italia, per spodestare un governo democratico. I fondamentali dell' Italia nel 2011 erano più solidi di oggi, checché ne dica Renzi, nonostante la crisi economica e finanziaria che dagli Stati Uniti era arrivata in Europa. E lo erano grazie alla seria e severa gestione dei conti pubblici dell' allora ministro Tremonti. Molto diversa da quella tutta deficit e debito del suo successore Padoan. Lo spread, poi, ricordiamo, continuò ad aumentare fino a luglio del 2012, quando il governo Monti era già in sella da nove mesi, quindi forse è più appropriato rivolgersi al professore della Bocconi, Senatore a vita con i soldi degli italiani, con l' epiteto di «Mister spread» e non a Berlusconi. Tanto più che il temuto differenziale tra rendimento dei titoli di Stato tedeschi, i Bund, e quello dei Btp italiani cominciò a scendere solo quando Mario Draghi, dopo il picco proprio di quel luglio 2012, legato alla crisi in Grecia, si decise a entrare in campo in difesa dell' euro con quel «faremo di tutto» pronunciato da Londra che aprì la strada per il Quantitative easing. Il quale Quantitative easing, oltre a riportare lo spread a livelli fisiologici, ha consentito la mini crescita dell' economia del nostro Paese degli ultimi semestri, di cui Renzi si prende ingiustamente i meriti. Se lo spread tornerà a crescere, cosa che ovviamente non ci auguriamo, sarà piuttosto perché finirà il programma di acquisto di titoli di Stato da parte della Banca centrale europea. Invece di guardare al passato, Renzi esca dal complesso di perdente che lo invade da quando ha lasciato palazzo Chigi e proponga al Paese le sue misure per farvi fronte. Ricette di politica economica che possano colmare il vuoto che lascerà la fine della politica monetaria espansiva. Misure che puntino all' economia reale, alle infrastrutture, allo sviluppo, al recupero di centralità di cittadini e imprese, non dei banchieri di Francoforte. Queste proposte Berlusconi ce le ha e per questo sarà votato dagli italiani. Renzi che fa? Quanto alle trappole dell' Europa, è certamente giusto avvertire dei rischi per l' Italia derivanti dalle pericolose decisioni dell' asse franco-tedesco, dalle quali il nostro governo è stato escluso, ma è anche vero che l' Europa ha talmente perso la sua credibilità che non fa neanche più paura. La stessa arma del Fiscal Compact, sempre brandita, è ormai spuntata. Firmato nel 2012 ed entrato in vigore il primo gennaio 2013, cioè cinque anni fa, non lo ha mai rispettato di fatto nessuno, né le sanzioni in esso previste sono state mai applicate. Si facciano tutte le regole europee che si vogliono, quanto mai stringenti, quindi, tanto restano scritte solo sulla carta, discusse nei vertici Ue ma ignorate dagli Stati. In un momento in cui si mettono al bando le parole dal vocabolario, infine, si smetta di parlare anche di spread: sa di vecchio e di cattivo. Scegliamo di non guardare indietro. Scegliamo di andare avanti. di Paola Tommasi