Emma Bonino, il retroscena sui candidati: Matteo Renzi non le parla, ma il Pd le promette un accordo
Per capire a quale livello di disperazione è arrivata la lista +Europa di Emma Bonino basti pensare che il suo futuro è appeso al filo sottilissimo delle promesse di due dirigenti del Partito democratico, Piero Fassino e Lorenzo Guerini. La lista dei radicali ha ormai una manciata di giorni per raccogliere 400 firme per ogni collegio uninominale, dopo il no secco del ministero dell'Interno di seguire una via interpretativa alle regole della legge elettorale. Dal Pd assicurano, secondo un retroscena di Repubblica, che "in tempi brevi ufficializzeremo i candidati dell'uninominale assieme agli alleati". Fassino ha garantito che entro il 20 gennaio saranno resi i nomi dei radicali, provando così a rendere più sereni gli animi turbolenti dei radicali che ora con Della Vedova si rimangiano tutte le minacce dei giorni scorsi di correre da soli: "Noi un accordo l'abbiamo sempre voluto, ci abbiamo investito un anno di lavoro, ma dovete aiutarci". La paura del pericolo più grosso è palpabile: se l'operazione delle firme non dovesse andare in porto, i candidati radicali si ritroverebbero esclusi dalla corsa elettorale. Leggi anche: Bonino spalle al muro, il consiglio che fa saltare il centrosinistra: "Molla Renzi, vai da sola" La trattativa in qualche modo sembra andare avanti, ma senza un intervento diretto di Matteo Renzi. Il segretario del Pd si guarda bene dal farsi intrappolare nella polemica con i radicali, convinto che le lagne di questi giorni raccolte da tg e giornali siano una "maxioperazione mediatica" per lanciare il simbolo che altrimenti non avrebbe visto nessuno. E sotto sotto anche i rapporti tra i due non sono dei migliori, alla luce anche della cena che la Bonino si è concessa con Enrico Letta, Giuliano Amato e Fabrizio Saccomanni. A tavola le era stato consigliato di mollare Renzi, evitando così di farsi trascinare a fondo. Letta però smentisce: "Sono totalmente fuori da qualsiasi manovra divisiva" ha detto l'ex premier. Leggi anche: La trappola dei radicali, la legge che li condanna Sullo sfondo l'interesse di Sergio Mattarella a evitare che la campagna elettorale si trasformi in uno scontro a carte bollate e ricorsi in tribunale. Sulla stessa linea il ministro Minniti, tirato per la giacca senza ottenere un suo ammorbidimento. Anzi sarebbe stato lui stesso ad avvertire i radicali, attraverso gli ambasciatori del Pd: se lo scontro dovesse finire davanti a un giudice, la speranza dei radicali di arrivare pronti alla data del voto sarebbe ridotto al lumicino.