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Luigi Di Maio, Matteo Renzi & Co: tutte le balle della campagna elettorale

Andrea Tempestini
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Anche a Palazzo Chigi ci sono i saldi di fine anno che mandano in tilt il bilancio pubblico. Come nelle aziende si fa una ricognizione dei conti per capire da dove cominciare quando cambia la gestione, allo stesso modo dovrebbe procedere lo Stato quando cambiano i governi. Ed è un'attività da svolgere con la massima onestà intellettuale, senza malizia e senza filtro ideologico. La campagna elettorale italiana è partita purtroppo con il piede sbagliato, se ieri a L'aria che tira, trasmissione di Myrta Merlino in onda su La7, Massimo Giannini ha infilato una balla dietro l'altra. La più grossa di tutte: quella secondo cui la situazione economica italiana sarebbe oggi migliore rispetto al 2011 grazie ai governi di centrosinistra. Come ha fatto notare il direttore Vittorio Feltri, in collegamento dalla sede di Libero di Milano, le cose non stanno proprio così. Nel 2011, infatti, il debito pubblico italiano ammontava a 1.909,1 miliardi di euro, a ottobre 2017 (ultimi dati Bankitalia disponibili) è a 2.289,7 miliardi: aumentato di 380,6 miliardi, che ci piacerebbe tanto sapere dove sono finiti e a cosa sono serviti. La disoccupazione nel 2011 con Berlusconi era all'8,7% e quella giovanile al 29,3% mentre a ottobre 2017 (dati Istat) è all'11,1% (2,4 punti percentuali più alta), con quella giovanile al 34,7% (5,4 punti in più): risultato dei governi Renzi e Gentiloni. Nel 2011 i poveri erano tre milioni 415 mila, oggi sono quattro milioni 750 mila: aumentati di oltre un milione trecentomila. E ci fermiamo per non piangere. COLPE A SINISTRA Sempre Giannini, parlando di sconquassi si riferiva al ventennio berlusconiano 1994-2014. Ma se in quel lasso di tempo il Cavaliere, sempre in alleanza con la Lega, ha governato solo nove anni su venti! I restanti undici sono quelli del centrosinistra. Quindi le colpe sono quantomeno condivise. Proponiamo un armistizio. Quello che più caratterizza i dati di quel periodo, infatti, è l'influenza di eventi esterni ben individuati: dalla nascita dell'Ue e l'introduzione dell'euro fino al crollo delle Torri gemelle e alla crisi di Lehman Brothers, per dirne solo alcuni. Le politiche economiche degli esecutivi che si sono susseguiti sono state orientate a correggere gli effetti negativi di tali variabili esogene sull'economia. Pertanto, non ci sono né angeli né demoni, né maghi né distruttori del sistema, ma solo governi. Dalla comprensione dei loro errori e dei loro successi bisogna ripartire per la corretta individuazione di una efficace strategia di politica economica. Se si vuole lavorare con serietà. CATTIVA EREDITÀ Oggi la coalizione di centrodestra appare la più affidabile nel panorama politico. Innanzitutto l'esperienza è tornata ad essere considerata un elemento positivo piuttosto che negativo, visti i disastri nell'amministrazione della cosa pubblica dei grillini, troppo spesso rivelatisi impreparati e incompetenti. Silvio Berlusconi svolge un ruolo ancora una volta centrale, le sue scelte degli ultimi difficili anni si sono rivelate giuste e lungimiranti, e gli alleati Salvini e Meloni portano quella linfa nuova che serve per dare un certo spolvero alle proposte, sempre sotto l'occhio vigile e moderato di Forza Italia, garante contro eventuali tentazioni demagogiche. Ciò detto, l'Italia in questo 2018 parte con un'eredità non buona lasciata dal governo uscente: manovra correttiva dei conti pubblici subito dopo le elezioni intorno ai cinque miliardi di euro e clausole di salvaguardia da disinnescare nella Legge di bilancio a ottobre-novembre per altri 15-20 miliardi, onde evitare l'aumento dell'Iva fino al 25%. Parlavamo di credibilità: non proprio un comportamento leale e corretto, sia nei confronti di chi andrà a Palazzo Chigi, sia dell'Europa. Ma tant'è. TRUMP INSEGNA Quanto alle proposte. Come ha dimostrato l'esperienza di Donald Trump negli Stati Uniti, per vincere le elezioni i programmi devono essere semplici, leggibili e soprattutto concentrati in pochi punti. Se il cittadino ha l'elenco chiaro degli impegni dei partiti, saprà non solo scegliere oggi, ma controllarne la realizzazione domani. Se i programmi sono lunghi, superficiali e confusi, al contrario, gli elettori mollano l'osso prima e neanche si recano alle urne. Lo sforzo per aumentare al massimo la partecipazione al voto dovrebbe quindi essere comune. E le proposte rivoluzionarie: riforme epocali che cambiano il Paese, senza perdersi in rivoli. Così si comprendono meglio e si accettano anche i costi. Al contrario, annunci spot, dall'abolizione delle tasse universitarie a quella del canone Rai, pesano sul bilancio dello Stato ma non producono nessun effetto sull'economia e sulla società. Matteo Renzi dovrebbe saperlo bene, reduce dalla fallimentare esperienza dei suoi bonus, costati oltre 40 miliardi di euro dal 2014 a oggi, di cui non è rimasta traccia. Con le stesse risorse avrebbe fatto la Flat tax e almeno l'Italia sarebbe oggi un Paese moderno, che corre. CANONE RAI Abolizione del canone Rai. Se viene fatto sostituendolo con un finanziamento dello Stato, come vorrebbe Renzi, altro non è che una partita di giro (o di raggiro). Il solito gioco delle tre carte che piace all'ex premier e che abbiamo già visto non funziona. In questo senso ha ragione il ministro Carlo Calenda. E in ogni caso, piuttosto che metterlo in bolletta creando il delirio, Renzi avrebbe potuto già abolire il canone Rai, facendosi carico del relativo costo (circa due miliardi di euro), quando era al governo. Come ben ricorda, ci è stato mille giorni. SALARIO MINIMO Salario minimo a dieci euro. Qui Renzi copia Obama (e va a rimorchio dei grillini). Peccato, però, che la misura non ha funzionato negli Stati Uniti, figuriamoci in Italia. Nuovi posti di lavoro e salari più alti non si decidono per legge. Ad ogni modo, nei Paesi in cui è previsto il salario legale minimo, che costituisce il livello di retribuzione al di sotto del quale non si può andare nei rapporti tra privati, l'obbligazione è a carico del datore di lavoro, non dello Stato. TASSE UNIVERSITARIE Abolizione delle tasse universitarie. Pietro Grasso si ispira a Bernie Sanders, che ne ha fatto la sua battaglia durante le primarie del partito democratico americano contro Hillary Clinton nel 2016. Tuttavia, in Italia, a differenza degli Stati Uniti, le rette universitarie sono già gratis per chi ha redditi più bassi, salvo iscriversi a istituti privati, e cancellarle finirebbe per diventare un regalo ai più ricchi: proprio quelli che la sinistra detesta. Un controsenso. REDDITO CITTADINANZA Della proposta di reddito di cittadinanza del Movimento 5 stelle, poi, quello che più inquieta non è tanto il costo, intorno ai quindici-venti miliardi di euro, ma il fatto che la finanzino con l'introduzione di un'imposta patrimoniale. Quella che ci manca per affossare definitivamente le famiglie italiane, già provate da quasi dieci anni di crisi. Tanto più che, pur espropriando i “maledetti riccastri”, non si ricaveranno mai risorse sufficienti. Demagogia pura. FLAT TAX In questo contesto, la Flat tax diventa la proposta più credibile, anche perché il centrodestra unito la realizzerà minimizzando i costi per lo Stato. In altre parole: "a saldo zero". Il livello a cui fissare l'aliquota unica per tutti, infatti, verrà fissata in base alle risorse che si renderanno progressivamente disponibili, nel corso della legislatura, grazie al taglio della cattiva spesa pubblica, la riduzione del debito, la cancellazione delle agevolazioni fiscali attualmente in vigore e il recupero dell'evasione fiscale. Risorse che saranno utilizzate anche per l'innalzamento delle pensioni minime a mille euro, misura che costa circa quattro miliardi di euro. VIA LA FORNERO Revisione del sistema pensionistico cancellando gli effetti deleteri della Legge Fornero. A chi ne contesta i costi andrebbe ricordato che quel provvedimento frettoloso del governo Monti, che doveva produrre otto miliardi di risparmi all'anno, ne è costati invece tredici per tutte le cosiddette "salvaguardie" che si sono dovute finanziare per gli esodati. Prima la si corregge in via definitiva meglio è. Gli errori del passato si sono rivelati già fin troppo cari. PIANO BIMBI Fondamentali, infine, le misure a sostegno della natalità di Fratelli d'Italia, se non vogliamo che un giorno a pagare le nostre pensioni siano davvero gli immigrati. E c'è pure la sorpresa finale: un “piano bimbi” genera crescita e si finanzia da solo, come la Flat tax. Lo dice la Banca Mondiale: ogni dollaro investito in “childcare”, vale a dire tutto quel mondo che ruota intorno alla cura, la crescita e l'educazione dei bambini fino a 5 anni, ha un ritorno tra i sei e i diciassette dollari. Con un moltiplicatore pari a due volte quello della spesa in infrastrutture, fino a oggi considerata la più produttiva. Non solo: se l'Italia investisse il 2% del proprio Pil per la crescita demografica, si produrrebbero circa un milione di nuovi posti di lavoro. di Paola Tommasi

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