Luigi Di Maio, il figlio di Giulio Andreotti lo ridicolizza: "Ecco la differenza tra papà e il grillino"
Certo, non è facile essere figli di un padre della Repubblica. Tanto più se tuo papà è stato ribattezzato il "Divo Giulio". E tu potresti essere tentato dal fare come Bruto, "fili mi"... Ma lungi dall'infliggergli coltellate postume, Stefano Andreotti, terzogenito di Giulio, insieme a sua sorella Serena ne ha riordinato le carte dell' immenso archivio, fino a recuperare un romanzo inedito del babbo, Il buono cattivo, scritto tra 1973 e 1974 e ora pubblicato da La nave di Teseo (pp. 259, euro 17). Dietro la maschera dell' io narrante, viene fuori un profilo poco noto del padre, un Anti-Divo, non concentrato sul potere, ma dedito a piccole passioni ludiche e domestiche; l' uomo Andreotti che forse, anziché fare il politico, avrebbe preferito darsi all'ippica. Per approfondire leggi anche: Di Maio umiliato indiretta anche dalla Ascani / VIDEO Stefano Andreotti, Il buono cattivo pare alludere a una tipica capacità democristiana di mediazione tra Bene e Male. Crede sia una definizione calzante anche per suo padre? «È il titolo che aveva scelto lui per la seconda parte del romanzo. Dato che nel libro ci sono molti richiami autobiografici, penso che quell' ossimoro rifletta la sua personalità: non di un Cattivo che sembrava Buono, ma di un Buono che solo in apparenza risultava Cattivo». Alcuni aneddoti rivelano gli hobby di Giulio Andreotti: cultore di giochi, esperto di vini e cocktail, frequentatore degli ippodromi, per non parlare di piccole mascalzonate, come le evasioni notturne dalla caserma. È tempo di riscoprire l' anima burlona di suo padre? «Papà era una persona curiosissima. Lo ricordo negli ultimi anni alle prese con la tecnologia, mentre ci chiedeva spiegazioni su come usare Internet. Ma il suo grande amore sono stati i cavalli. In qualsiasi parte del mondo andasse, faceva sempre mettere in programma una visita all' ippodromo. E, nella mazzetta quotidiana di giornali, non mancava mai "Il Cavallo". Era anche uno scommettitore piuttosto assiduo: certo, investiva piccole cifre, ma mi raccontava delle sue mattinate da giovane trascorse in Sala Corse, a puntare sui cavalli...». Cavalli, ma pure carte e calcio. «Sì, le domeniche pomeriggio spesso le dedicava allo scopone o al tressette; negli ultimi anni si cimentò anche nel burraco, dove tuttavia era scarsissimo. Era poi un simpatizzante della Roma, al contrario di me che tengo per la Lazio. Nondimeno andavamo insieme a vedere le partite allo stadio: io gli facevo da autista e, per amore filiale, accettavo di accompagnarlo a guardarsi i giallorossi». Nel libro suo padre se la prende con i "tanti tardivi neoantifascisti" e sostiene che per l' antifascismo vale la regola dei vini: è buono solo quello delle vecchie annate. Andreotti era un anti-antifascista? «Mio papà aveva ricordi del periodo giovanile sotto il regime e di quando aveva iniziato a far politica durante la guerra. Del fascismo non aveva terrore né la fobia tipica degli antifascisti, esageratamente cavalcata oggi. Già allora era consapevole che erano passati troppi anni per temere un ritorno del regime». È interessante anche l' analisi del protagonismo di alcuni giudici, messi alla berlina nel libro. Cosa pensava Andreotti dei magistrati? «Ne aveva una stima colossale, riteneva ad esempio il pretore un padreterno. Il problema si poneva quando i magistrati cominciavano ad avere un profilo pubblico e a esercitare un ruolo politico». Il libro di suo papà è stato portato in carcere a Dell' Utri (che non ha potuto leggerlo per via della copertina rigida, proibita dietro le sbarre). Vede analogie tra la vicenda giudiziaria di suo padre e quella dell' ex senatore di Forza Italia? «Per certi aspetti un parallelismo si può fare. Ma posso parlare solo della vicenda di papà. Mi sono convinto che qualcuno abbia voluto farlo fuori dalla scena politica. Mio padre non aveva mai gestito le finanze del partito e non poteva essere epurato durante il ciclone di Tangentopoli. Cercarono altre chiavi per colpirlo, ad esempio le accuse di complicità con la mafia. E penso che questa linea sia stata promossa da qualcuno negli Stati Uniti, ostile al dialogo col mondo arabo avviato da mio padre, e poi da qualcuno nei palazzi romani...». Lei che idea si è fatto delle accuse sul coinvolgimento di suo padre nell' omicidio Pecorelli o sul presunto bacio a Totò Riina? «La cosa incredibile è che nella storia di tutti i processi non c' è mai un fatto accertato o un' immagine che documenti presunte attività sospette di mio padre. Tutto si basa sulle testimonianze dei collaboratori di giustizia che, vorrei far notare, sono persone che, dopo essersi pentite, molto spesso sono tornate a delinquere». Crede che suo padre sia stato perseguitato dalla giustizia? «So che ha subìto una botta terrificante. Lo hanno salvato la forza, il senso della legalità e la fede religiosa. Ma sono state fondamentali due persone: Giovanni Paolo II, che gli ha sempre espresso la sua stima, e Madre Teresa che, nei primi tempi dei processi, andò nel suo studio e gli disse "Non ti preoccupare, ne uscirai fuori"». Come avrebbe giudicato suo padre la morte di Riina in carcere? «Lo avrebbe considerato un accanimento della giustizia: di fronte a una persona ridotta in quello stato, per quanto artefice di crimini immondi, non avrebbe approvato la strada seguita dai giudici. Fermo restando il sostegno convinto di papà al 41 bis». Fosse vivo, Andreotti in quale partito militerebbe? «Faticherebbe a identificarsi. Dopo lo scioglimento della Dc, votò per qualche anno il partito di Casini. Ma oggi non sceglierebbe né Forza Italia né Pd né gli ex alfaniani di Ap». E il M5S? Qualcuno sostiene che Di Maio sia il nuovo Andreotti. «Sono molto perplesso. Mio padre aveva fatto una lunga gavetta. E aveva, come molti politici della Prima Repubblica, una preparazione culturale invidiabile. Per capirci, sapeva usare benissimo il congiuntivo, e conosceva a menadito la storia e la geografia...». Suo padre scriveva: «Se mi salverò l' anima, sarà per un' amnistia ultraterrena». Crede che abbia goduto dell' indulto metafisico, o sia ancora in Purgatorio, come spetta a un Buono Cattivo? «Credo che l' anima autentica di mio padre emerga dalle lettere che ha lasciato a noi figli. Lì viene fuori la sua devozione genuina e il suo amore per le piccole opere buone, come quando andò a trovare in ospedale il capo dei barboni di Roma, senza dirlo a nessuno, perché il Bene non si mette in mostra. Ecco, fede e opere penso gli siano servite per meritarsi il premio finale: un "Divo" al cospetto di Dio». di Gianluca Veneziani