Alan Friedman: "Matteo Renzi bravo, preparato. Ma vittima di se stesso"
Brillante, capace, preparato. Ma "nemico di se stesso". Così è Matteo Renzi secondo Alan Friedman che su La Stampa ne traccia un ritratto con luci e ombre, partendo dal primo incontro nel 2013 "a Vienna, in occasione di una conferenza del Financial Times sul mercato del lusso" a oggi. "Il giorno della decadenza di Berlusconi al Senato" nel novembre 2013, continua il politologo americano, "andai a trovarlo a Firenze, a Palazzo Vecchio", "Renzi fu davvero brillante. Durante l'intervista sfoggiò efficaci abilità oratorie, mi sembrò una boccata d'aria fresca nella politica italiana. Parlò dell'urgenza di rottamare la sinistra di Massimo D'Alema". Era "piuttosto convincente". Leggi anche: Silvio Berlusconi, racconta la reazione furiosa dopo il tradimento di Renzi: "Come una pugnalata" Poi ci fu il Patto del Nazareno e poi diventò il più giovane presidente del Consiglio della storia italiana. Ma "appena arrivato, Renzi cominciò a muoversi con grande energia ma poca astuzia. Ricordate le slide a colori? I power point? L' annuncio di una riforma ogni mese, a marzo, ad aprile, a maggio, a giugno? E poi la nuova legge elettorale? Ecco fatto! Le idee non erano sbagliate, e l'elenco delle riforme era stato preparato correttamente. Ma i modi e toni del neopremier non sono stati d'aiuto, e nel tempo c'è stato uno slittamento nella percezione di Renzi da parte dell'opinione pubblica". Ad un tratto Renzi non era più "il giovane rottamatore, carismatico ed empatico, ma un tipo troppo arrogante e, peggio, antipatico. In politica, essere antipatico vuole dire avere una carriera poco longeva". Infine, conclude Friedman "sul sentiero delle riforme, si è perso, "ha messo troppa carne al fuoco con il referendum del 4 dicembre e poi si è suicidato, promettendo di dimettersi nel caso in cui il Sì avesse perso alle urne" e "dopo le sue dimissioni da Palazzo Chigi Renzi non si è mai ripreso. Certamente hanno contribuito la storia delle banche e le vicissitudini della Boschi". Una "parabola discendente" accentuata da Paolo Gentiloni "più apprezzato di Renzi dalla grande maggioranza degli italiani". E la "tragedia" è che "Renzi è uno dei pochi politici italiani a sapere davvero cosa bisogna fare per modernizzare l'economia. La capisce, e ha scelto una squadra di tecnici seri e pragmatici, uomini come Pier Carlo Padoan, Tommaso Nannicini e Filippo Taddei. Persone che fanno parte di quella che probabilmente è la miglior squadra di consiglieri economici disponibile sulla scena politica odierna". Insomma, "il problema si chiama Renzi. Matteo Renzi si è rivelato il peggiore nemico di se stesso".