Marco Travaglio ha tirato la volata a Silvio Berlusconi: ora che lo ha capito, insulta il Cavaliere
Sprizza bile da tutti i pori, il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio. Perché dopo mesi e mesi a tirare la volata ai 5 Stelle perché approdassero a Palazzo Chigi, s'è reso conto che in realtà ha tirato la volata anche all'odiatissimo (da lui) Silvio Berlusconi. Che nell'editoriale di oggi sul Fatto, non manca di definire, ancora una volta, "delinquente naturale, pregiudicato ineleggibile e interdetto". E che, pare, avrà in mano le briglie del governo M5S-Lega, visto che, per iniziare, deciderà una volta vista la compagine governativa, se dare l'appoggio esterno (o quantomeno la non-sfiducia). E poi, di volta in volta, sceglierà se votare, astenersi, o votare contro i provvedimenti che l'esecutivo Salvini-Di Maio manderà al vaglio del Parlamento. Insomma, se quella di Berlusconi non è una "golden share" sul prossimo esecutivo, poco ci manca. Peserà non poco la sua opinione sulla scelta del ministro della Giustizia e di quello alle Telecomunicazioni e, naturalmente, su quello del premier, con Di Maio che ha già dovuto metterci una croce sopra. Leggi anche: Travaglio, la crisi di nervi dopo il trionfo di Matteo Salvini: "Cazzaro..." Il pensiero di Travaglio viene sintetizzato dal titolo d'apertura del Fatto: "Giochi pericolosi". Sottotitolo: "Adesso il caimano dà l'ok all'esecutivo Di Maio-Salvini, senza la fiducia di FI. Ma detta condizioni: anche sul premier". Secondo il direttore, il via libera di Berlusconi è arrivato perché "ha ottenuto quelle garanzie che ha sempre preteso dai governi non suoi per non scatenare la guerra termonucleare: favori e Mediaset e nessuna norma contro le quattro ragioni sociali della sua banda", che secondo Travaglio sarebbero "corruzione, evasione fiscale, mafia e conflitto d'interessi". Insomma, la solita colata di fango. E, disperato, Marco Manetta conclude: "Starà all'abilità di Di Maio rinunciare a ruoli ministeriali e guidare il gruppo parlamentare per stanare Salvini, incalzare il governo sul contratto e staccargli la spina al primo cenno di tradimento o di logoramento. Peggio delle larghe intese ci sono soltanto le larghe fraintese", conclude.