Governo, Paolo Becchi: "Scegliamo chi comanda lanciando una monetina, è più democratico"
L' accordo per la staffetta, questa volta, sembra vicino. Ma rischia di sfumare - a quanto si dice - per un dettaglio che, in fondo, un dettaglio poi non è: a chi spetta cominciare? Di Maio, dalla sua, può rivendicare il risultato elettorale, il suo rappresentare la forza politica più votata dai cittadini; dall' altra parte, Salvini ha dalla sua il fatto di essere il leader della coalizione che ha vinto le elezioni, ed il fatto che, giunti a questo punto, chi avrebbe più da perdere nel caso saltasse la possibilità di formare il governo, sarebbe certo il M5S. Come fare? Leggi anche: Becchi, l'idea della staffetta: "Perché è l'unico modo per risolvere lo stallo" Si è parlato, nelle scorse ore, di un possibile passo indietro dei due leader: la «staffetta» potrebbe avvenire tra altri due esponenti, di minor conto, dei rispettivi partiti. Ma qui il rimedio non è addirittura peggiore della malattia? Eppure la soluzione c' è, è la più semplice e naturale: la nazional-popolare «monetina». Direi, più seriamente: il democratico sorteggio. Perché non si può dimenticare che il sorteggio è uno strumento che, storicamente, è sempre stato strettamente legato agli sviluppi e alle conquiste della democrazia. Certo, potremmo citare l' esempio di Atene, o di Venezia e Firenze. O, ancora, l' autorità di Montesquieu, quando scriveva che «il suffragio per via della sorte è proprio per natura della democrazia». Il sorteggio ha costituito l' esempio per eccellenza di procedura imparziale per risolvere i conflitti, «in particolare nel caso di un' esacerbata concorrenza nell' assegnazione dei posti di potere», come ricorda in un bel libro Yves Sintomer, e garanzia dell' uguale possibilità di accedere a cariche politiche. SEGNALE DI FORZA Che la modernità lo abbia, parzialmente, dimenticato, non ne fa per questo un anacronismo - ma dice, al contrario, molto sulle cosiddette «democrazie» moderne. Di recente, del resto, il sorteggio è ritornato prepotentemente sulla scena politica - si pensi all' esperienza dell' assemblea costituente in Islanda, nel 2010 - tanto che si è parlato di un' «era del sorteggio». Il provocatorio e geniale David van Reybrouck ricostruisce tutto ciò in un libro uscito qualche anno fa, libro che piaceva molto a Gianroberto Casaleggio. Certo, nel caso italiano, la questione appare molto più semplice: tutti e due i leader potrebbero dire di non aver perso il braccio di ferro su chi comincia per primo, perché è stato il sorteggio a deciderlo. Ma la letteratura citata ci serve per ricordare che, nel caso in cui l' ordine della «staffetta» tra Di Maio e Salvini dovesse essere affidato al sorteggio, ciò non sarebbe che la conseguenza del modo in cui una vera democrazia può e deve funzionare. Se fosse il sorteggio, cioè, a decidere chi dei due debba cominciare, ciò non sarebbe segno di «debolezza» politica: al contrario, rappresenterebbe un forte segnale, per tutti quanti noi, del fatto che finalmente qualcosa che sta cambiando, e che la democrazia è tornata ad essere un insieme di regole e di procedure in grado davvero di funzionare e di vivificare la politica, e non più la forma morta dietro la quale si è riprodotta per decenni la «partitocrazia». di Paolo Becchi