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Di Maio, Toninelli e gli altri, tutte le boiate grilline: così rovinano l'Italia

Matteo Legnani
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Se sul terreno dell' immigrazione Matteo Salvini non sbaglia un colpo, da fine mese gli toccherà dedicarsi anche all' economia, altrimenti rischia di finire in una trappola mortale che ha già innervosito il suo elettorato. Nessuno più di lui e del professor Giovanni Tria sa che la Flat tax implementata gradualmente rischia di trasformarsi in un flop mentre, per funzionare, il taglio delle tasse deve essere massiccio e fatto in un colpo solo. A due mesi dal debutto, dopo altri due di traversie per formarlo, il governo 5 Stelle-Lega ha già fatto vedere di che pasta è fatto. Matteo Salvini ha stracciato tutti dal primo giorno sull' immigrazione, riducendo gli sbarchi e mandando un segnale al mondo per cui in Italia non si arriva più e chi vi mette piede in maniera illegale viene rispedito a casa, i barconi sequestrati e i trafficanti di morte arrestati. La parte grillina del governo, capitanata da Luigi Di Maio, presa in contropiede e meno capace di governare, come le amministrazioni di città tra cui Roma e Torino avevano già dimostrato anche prima delle elezioni, ha dovuto rilanciare sui propri astrusi cavalli di battaglia, dallo stop alle grandi opere, un pregiudizio grave e controproducente che fa male al Paese, al finto taglio dei vitalizi, che a nulla serve se non a generare ricorsi amministrativi, al blocco dell' Air Force Renzi in cui due ministri della Repubblica sembravano piuttosto gli inviati di Striscia la notizia, al decreto «stupidità» che distrugge l' economia e il mondo del lavoro. Se piuttosto che dedicarsi a tutto ciò, con un dispendio notevole di energie, anche personali, Di Maio avesse trascorso più tempo almeno in uno dei due ministeri di cui è responsabile, risolvendo i tavoli di crisi aperti sulla sua scrivania, probabilmente avrebbe salvato più posti di lavoro e consentito alle imprese di creare sicuramente più ricchezza di quanto invece si risparmia mettendo fuori uso un aereo in leasing. Tanto più che nei viaggi di Stato come arrivi, con un aereo istituzionale piuttosto che un volo di linea low cost, dà anche l' idea del Paese che rappresenti. Il pauperismo e il livellamento verso il basso dei 5 Stelle si nota anche per questo. Purtroppo. Così come si è visto dal grande pasticcio sulle nomine che anche loro, checché ne dicano, sono attirati dal potere ma non ci sanno fare, considerato che con un colpo di penna hanno cancellato la fusione Anas-Ferrovie e azzerato il consiglio d' amministrazione di queste ultime. Ma sulle nomine ha subito la sua prima battuta d' arresto anche Matteo Salvini che, proponendo il pur bravo Marcello Foa alla presidenza della Rai, in un colpo solo si è inimicato Di Maio, che gli rinfaccia la cattiva figura, e Silvio Berlusconi. Decreto stupidità - Ma andiamo per ordine. C' è l' imbarazzo della scelta nel dire quale degli obbrobri commessi dai grillini in questi mesi li caratterizzi di più. Senz' altro il decreto «stupidità» è per loro una bandierina che definisce al meglio i pregiudizi da «sessantottini in ritardo» (copyright Silvio Berlusconi) che li contraddistinguono. Non si può accettare di definirlo decreto «dignità» perché, come ha detto la capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati, Maria Stella Gelmini, intervenendo in Aula, quella parola ha un significato molto più alto di quello che vogliono darle i 5 Stelle. Il problema dei posti di lavoro che si perdono con questo provvedimento non è una questione di manine, siano esse dell' Inps o della Ragioneria generale dello Stato: sono un dato di fatto certificato non da enti indipendenti ma dalla realtà. Prima ancora dell' approvazione definitiva del decreto, le imprese hanno smesso di rinnovare i contratti a termine in scadenza e/o di stipularne di nuovi. Il caso di Foodora che lascia il mercato italiano è solo l' ultimo o il più in vista per le dimensioni di quell' azienda ma saranno soprattutto le piccole e medie imprese a risentirne, non potendo ricorrere a forza lavoro di cui hanno bisogno ma a cui non possono garantire contratti di lunga durata proprio, e qui il diavolo ci mette la coda, per l' incertezza in cui versa l' azienda in mancanza di una politica economica chiara da parte del governo. Per non parlare della lotta alla delocalizzazione delle imprese a cui Di Maio applica una logica sanzionatorio-punitiva quando invece l' unico modo valido per trattenere le imprese in Italia o farle rientrare se hanno spostato la produzione all' estero per risparmiare, è creare nel nostro Paese un ambiente pro-crescita che lo renda il più conveniente dove investire e avviare imprese. Nel decreto Di Maio manca poi la distinzione necessaria, ma che richiede una certa conoscenza di politiche industriali che al leader del Movimento 5 Stelle manca, tra chi va all' estero perché cresce ed espande il mercato della propria attività, credendo nell' internazionalizzazione dell' impresa, e chi invece lo fa per fuggire da norme poco chiare, che vengono continuamente cambiate dal legislatore per motivi più politici che tecnici, una burocrazia lenta e inefficiente, costo del lavoro e pressione fiscale troppo alti. Su questo bisognava intervenire, piuttosto che su causali, numero di rinnovi, mesi di durata dei contratti. Addio grandi opere - Qui è la differenza tra chi pensa in grande, ed ha una visione ampia di ciò che vuole fare e un' idea definita dell' Italia di domani, e chi invece si incaponisce sul particolare, le piccole cose, magari sganciate dal quadro complessivo. Secondo punto critico del governo grillino: la lotta a priori alle grandi opere. Tutte, senza distinzione, per principio. Con una mega contraddizione rispetto agli alleati leghisti che invece nell' importanza degli investimenti e delle infrastrutture credono da sempre, fin da quando al governo erano con Forza Italia, che sulla Legge obiettivo del 2001 e un enorme piano di grandi opere, appunto, fondò l' attività di quell' esecutivo e di quelli che sono seguiti con successo. Un grande piano di investimenti che trova uno sponsor anche nel ministro dell' Economia, Giovanni Tria, che proprio dagli effetti positivi in termini di crescita e di creazione di lavoro derivanti dagli investimenti, più che dalla riduzione delle tasse, conta di trovare le risorse per attuare il contratto di governo. Ma tanto il ministro quanto la Lega devono fare i conti con i «signor No» del governo: No Tav, No Tap, No al salvataggio dell' Ilva, rappresentati nella compagine dell' esecutivo dal ministro per le Infrastrutture, Danilo Toninelli, la ministra per il Sud, Barbara Lezzi, e la vice-ministra dell' Economia, Laura Castelli. Contro la scienza - La crociata contro le grandi opere, poi, diventa crociata contro la scienza quando si parla di vaccini. I bambini sono i primi che dobbiamo proteggere, a meno che non vogliamo davvero, come dice il presidente dell' Inps, Tito Boeri, che siano gli immigrati a pagarci le pensioni, ed è incredibile che ad esporli a rischi di salute sia, per mere ragioni ideologiche, proprio un governo da molti definito «sovranista». E se forse potrebbe pur passare il concetto di libertà di scelta per i bambini sani, questa libertà cessa di esistere quando rischia di compromettere la salute degli altri. È il caso dei bambini con difese immunitarie basse che non possono frequentare gli asili o, se lo fanno, rischiano di prendersi malattie, altrimenti evitabili, solo perché in quelle strutture si trovano, a causa delle decisioni governative, a contatto con compagni di scuola non vaccinati, come ha sottolineato Elena Fattori, la senatrice «dissidente» del Movimento 5 Stelle raccontando la storia personale sua e di suo figlio. Né ha un senso la rassicurazione (si fa per dire) della ministra della Salute, Giulia Grillo, per cui i bambini cosiddetti «immunodepressi» saranno inseriti in classi con compagni tutti vaccinati, creando nei fatti una discriminazione nonché inconsciamente riconoscendo l' importanza della vaccinazione. Obiettivo decrescita - Questi ministri grillini della «Miseria», piuttosto che per lo sviluppo del Paese sembra lavorino per ridurci tutti in povertà e costringerci ad elemosinare un reddito di cittadinanza. L' esatto contrario di un ragionamento che privilegi invece l' evoluzione, il miglioramento delle condizioni in cui vive una società, per farla prosperare, renderla indipendente da sussidi e aiuti statali, semplicemente perché non ne ha bisogno, perché ce la fa da sola, grazie al proprio lavoro e al proprio impegno. Leggi anche: Luigi Bisignani: i due governi italiani, ecco chi comanda davvero e quando crollerà tutto Cosa può fare Matteo - In un tale scenario, per niente tranquillizzante, meno male che Salvini c' è. I danni prodotti dai 5 Stelle nei due mesi del loro governo della decrescita possono essere ancora recuperati. Già da fine mese, al rientro dalle vacanze, senza aspettare la Legge di bilancio di metà ottobre, con un grande taglio delle tasse che si porta dietro la soluzione anche degli altri problemi ricordati fino ad ora. Meno tasse significano più soldi nelle tasche degli italiani che potranno spenderli come vorranno, aumentando il proprio benessere. E significano più posti di lavoro creati dalle imprese che ricominciano a utilizzare a pieno la loro capacità produttiva e salari più alti per chi un lavoro ce l' ha già. Ma la riduzione delle tasse, per produrre i suoi effetti benefici, deve essere di grande impatto e riguardare tutti. Cominciare solo con le partite Iva o le famiglie numerose, magari aumentando l' Iva per finanziare l' operazione, non produce i risultati sperati e rischia di trasformarsi in un clamoroso buco nell' acqua del governo giallo-verde. E qui a rimetterci in termini di consenso non sarebbero solo i grillini, già fritti, ma la Lega. di Paola Tommasi

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