Filippo Facci, finché c' è Bonafede per la Giustizia non c' è speranza
Il ministro Guardasigilli Alfonso Bonafede l' abbiamo già inquadrato da un pezzo, ma questo non significa che ogni enormità che dice debba passare sottotraccia. Forse conoscete già il prologo: il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio ha indagato Matteo Salvini per faccende di sbarchi e immigrazione (facendo peraltro imbufalire un bel pezzo di opinione pubblica, come Libero ha dimostrato ampiamente) e allora Repubblica è corsa a intervistare Francesco Minisci, il capo del sindacato dei magistrati, e a farlo ci ha mandato Liala Milella, che rispetto a Bonafede è ancora più sdraiata sulla magistratura anche se è sicuramente più istruita di lui. A parte le irrilevanti e inamidate risposte di Minisci, le domande della Milella erano di questo tenore: «Il ministro dell' Interno può scatenarsi contro la magistratura?», «il caso di Salvini, rispetto ai comportamenti privati di Berlusconi, non è molto più grave?», poi soprattutto «il continuo appello di Salvini al consenso popolare non assomiglia a un golpe che rischia si sovvertire l' ordine democratico?». Bella quest' ultima: anche perché se sostituisci "Salvini" con "magistratura" viene fuori esattamente quello che ha fatto la magistratura da Mani pulite in poi. Leggi anche: Salvini, contro il ministro pure l'accusa di "sequestro di minori" Ma eccoci finalmente a Bonafede, che nel suo ruolo politico in teoria dovrebbe fungere da contrapposizione fisiologica dell' esecutivo rispetto al giudiziario. Le risposte di Bonafede in sintesi sono state queste: 1) «La magistratura va rispettata». 2) La separazione delle carriere è un progetto che non esiste, tanto che non ve n' è traccia nel contratto di governo; 3) «È anacronistico parlare di pm politicizzati». Va detto che Bonafede, prima dell' intervista, si era limitato a dire che «la magistratura può essere criticata ma mai offesa». Nelle procure manca solo che Bonafede si metta a pulire i pavimenti, insomma, ma questo appunto lo sapevamo. Tra le cose che non sapevamo, o non così bene, spiccano le seguenti. La prima è un dato politico generale in cui spicca anche l' imbarazzo di Luigi Di Maio, secondo il quale l' azione penale contro Salvini «è un atto dovuto» (frase che sentiamo da anni, ma che non significa assolutamente nulla) e quindi non bisogna occuparsene, data l' ansia del vicepremier grillino di deviare l' attenzione sul prossimo ddl anticorruzione (gradito ai magistrati, certo) e sul taglio alle pensioni d' oro. Il secondo dato sempre più notevole è che "il contratto" è sempre più la coperta di Linus utilizzata dalle forze di governo per prendere le distanze una dall' altra: cosa improbabile, visto che la Lega, per esempio, ha preso i voti anche auspicando una separazione delle carriere dei magistrati (riproposta in questi giorni da Salvini) e sicurarebbe tradirebbe prima i grillini rispetto ai propri elettori. Ma l' uscita tutto sommato più stupefacente di Bonafede (quella di pura marca grillina e che ha più il sapore del genere «le sirene esistono» o «non siamo mai stati sulla Luna») resta «è anacronistico parlare di pm politicizzati». LA STORIA IGNORATA Ora: Bonafede lessicalmente non è una cima (neanche in quello) e i significati banalmente attribuiti ad "anacronistico" sono due: il primo intende "sbagliato, fuori dal mondo", il secondo, più esatto, è "che non corrisponde, o contrasta, con le esigenze o le caratteristiche del proprio tempo". Insomma, una follia in ogni caso: in linea generale, significherebbe che Bonafede e compagni non hanno visto ciò che una stessa parte della magistratura ha pure ammesso almeno in termini generici: decenni di ricatti della magistratura sulla politica, lustri di giunte e governi sempre in ostaggio dei chiari di luna delle toghe, anni a dipendere da avvisi di garanzia e registri degli indagati e sussurri di cancelleria o di redazione, amministrazioni prese di mira dall' uzzolo del singolo intoccabile magistrato, un' intera Repubblica passata a subire la cretinissima equazione indagato = sputtanato = vattene (e non importa se fosse per cazzate o per reati seri) in un Paese in cui "indagato" per un politico è come dire "bagnato" per un ombrello: prima o poi succede. Insomma, non è che ignorando bellamente la storia la si fa dimenticare: neppure se si parlasse in buona fede. Ma non parlano in buona fede, parlano in Bonafede: perché i grillini (coordinati dai loro sponsor del Fatto Quotidiano) per anni hanno continuato a compilare severe liste di "indegni" che sono stati condannati (in giudicato) o che non sono stati condannati (in giudicato) o che sono stati condannati ma solo in primo grado o in Appello, o che sono stati assolti ma furono "coinvolti" nell' inchiesta X (seguono estratti di qualche sentenza) oppure citavano un' intercettazione in cui gli indegni erano soltanto nominati, oppure spiegavano che gli indegni erano amici di questo o di quello, o all' occorrenza facevano una bella lista di personaggi che secondo loro erano "impresentabili": tu figurati, in genere, che cosa facevano con chi non era condannato o rinviato a giudizio ma "indagato" come Matteo Salvini. ARRIVANO I GRILLINI Ergo, riassumendo, questo sarebbe l' assurdo di Bonafede (o dei Bonafede) nel caso intendesse che i pm politicizzati sono anacronistici nel senso di mai esistiti. Nel caso invece che intendesse anacronistico nel senso di "che non corrisponde, o contrasta, con le esigenze o le caratteristiche del proprio tempo", fa ancora più ridere perché significherebbe che il fenomeno dei pm politicizzati - molti dei quali infatti sono passati in politica - ora non c' è più: perché sono arrivati loro, i grillini, anzi, è arrivato Bonafede. di Filippo Facci