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Attilio Fontana a Pietro Senaldi: "Lombardia autonoma tra un anno. Ecco perché la sinistra odia Salvini"

Giulio Bucchi
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«Ero convinto che sarei stato tutta la vita in minoranza, ricordo ancora che mio padre festeggiava quando il Partito Liberale prendeva l' 1,8%. Oggi quando cammino mi dà una grande soddisfazione pensare che una persona su tre che incontro vota come me. Sbircio i sondaggi e tocco ferro». Guardare Milano dal 39esimo piano di Palazzo Lombardia e restare con i piedi per terra sarebbe difficile anche avendo l' 1,8%. Farlo senza montarsi la testa quando si è alla guida della Regione più ricca e popolosa d' Italia, in odore d' autonomia e per di più in rappresentanza del partito leader nei sondaggi e al governo nazionale è degno di un maestro zen. «Quassù facciamo una vita molto goliardica» racconta il governatore Attilio Fontana «dietro quella porta c' è la cucina e c' è di tutto, salami, formaggi, d' inverno il cioccolato». Il solo ufficio è grande più di un quadrilocale con soggiorno doppio, ma non si può dire che lo spazio sia sprecato. L' amministrazione Fontana è collegiale, al tavolo dell' intervista ci sono altri due capannelli al lavoro su progetti regionali. In un' ora entrano assessori, onorevoli, rettori, segretarie, tecnici. Movimento e attività non mancano. Presidente, di lavoro lei fa l' avvocato: la Lega è sotto attacco giudiziario?  «La sentenza che ha confermato il sequestro di 49 milioni che la Lega non ha è paradossale. Prima i giudici dicono che siamo parte lesa, e infatti incriminano l' allora segretario Bossi e il tesoriere Belsito ma non il partito, poi mettono sotto sequestro i soldi del danneggiato, e per di più in una misura enormemente sproporzionata rispetto alla quantità di denaro che sostengono sia stata sottratta dai condannati. È un tentativo di processare la storia, si imputano al nostro partito responsabilità di altri: i giudici sanno benissimo che Salvini non c' entra nulla con quei 49 milioni. Avremmo diritto a essere risarciti, altro che sequestro». E adesso rischiate di chiudere come ha detto Giorgetti?  «Siamo solidissimi politicamente nel rapporto con i cittadini. Non ci mancano né idee né capacità di governo, non sarà difficile tener dritta la barra». Quindi l' attacco giudiziario è destinato ad andare a vuoto?  «La sinistra fa così da sempre. Quando perde le elezioni, per tornare al governo scatena i giudici. Berlusconi ne sa qualcosa. Oggi tocca a noi, perché temono che il partito si istituzionalizzi, diventi una forza guida del Paese e magari ottenga anche risultati. I vecchi poteri vogliono fermare questo processo. Ma con Salvini il gioco non funzionerà. L' attacco politico al Cavaliere veniva mascherato aggredendolo sotto il profilo personale e imprenditoriale, con Matteo però non è possibile: i maliziosi potrebbero parlare di un fine politico». Possiamo almeno dire che l' incriminazione di Salvini per sequestro di persona dei profughi della Diciotti ha un fine politico?  «È palesemente un' accusa senza basi giuridiche, spiegabile solo con motivazioni politiche. Salvini ha agito secondo la sua discrezionalità di ministro, nel rispetto del diritto e a tutela dei cittadini e dell' Italia. Se lo si processa per non aver fatto sbarcare i profughi, allora bisognerebbe incriminare tutti i precedenti ministri dell' Interno per averli rinchiusi nei centri di raccolta immigrati, quello sì è un sequestro di persona. Comunque si è visto qual è il risultato di averli fatti sbarcare, a decine si sono già dati alla macchia». Che soluzioni suggerisce per l' immigrazione?  «Non sta a me trovare soluzioni nazionali. Dal mio osservatorio lombardo però posso dire che l' integrazione è impossibile se, come avveniva con la sinistra al governo, accogli tutti, li mantieni per due anni e poi dici loro di abbandonare il Paese. Questa gente resterà sempre ai margini della società, dedita alla criminalità». È per le quote d' accoglienza?  «Non ha senso un sistema di quote generiche. La quota deve riflettere la realtà: possono accogliere solo i territori dove c' è bisogno di lavoratori ai quali siamo in grado di garantire una casa. Funzionava così bene la Bossi-Fini, una legge che dava una risposta alle esigenze del Paese». Le daranno del razzista, e non sarebbe la prima volta. «Sono i profeti dell' accoglienza indiscriminata quelli che in realtà puntano alla pancia della gente. Uno si sente in colpa a negare gli ingressi, anche a me non piace farlo. Serve coraggio per dire "non venire, non ti posso aiutare". Ma è pure una forma di rispetto nei confronti dei migranti, sempre meglio che illuderli e poi trattarli da animali quando arrivano. Quello sì è razzismo, anche se chi lo pratica si sente la coscienza a posto». Perché Salvini è tanto odiato?  «Vorrà dire amato, è il politico più popolare d' Italia e ha preso un partito al 6% portandolo oltre il 30». Intendevo dalla sinistra, che continua a dargli del razzista. «La risposta semplice è che lo offendono perché non hanno nulla di meglio da dire per attaccarlo. Gli dicono "razzista" e la discussione finisce lì. Due settimane fa Matteo ha ricevuto Orbán, membro del Ppe e premier ungherese democraticamente eletto, e gli davano del nazista. Pochi giorni dopo si è incontrato con l' idolo della sinistra Blair, che lo ha di fatto benedetto, e tutti zitti. Che scorno. Volendo invece fare un' analisi più approfondita, credo che Salvini sia odiato dalla sinistra perché le ha rotto le uova nel paniere, un po' come Berlusconi nel '94, ma stavolta fa più male perché i compagni ci stavano lavorando da 25 anni, e ce l' avevano quasi fatta. Eravamo arrivati vicino al pensiero unico, sugli immigrati, sull' Europa, sulla famiglia, sulla globalizzazione, sulla finanza. Tutti erano condizionati e credevano che non ci potesse essere un pensiero alternativo. Era una situazione oppressiva, la critica era consentita solo dentro al sistema e in toni ironici, non seri. Poi è arrivato Salvini e la gente si è svegliata. Ora chiunque può criticare l' immigrazione incontrollata, gli egoismi della Ue e le follie della finanza senza sentirsi in minoranza. La sinistra non può perdonare a Salvini di aver liberato il popolo e si difende provando a criminalizzarlo, ma ormai siamo al punto che più lo attacca, più lo rinforza». È saltato il tappo?  «Perfino Berlusconi è stato vittima del complesso di superiorità morale della sinistra. L' errore principale del centrodestra è stato legittimare la violenza fatta alla nostra cultura. Ancora oggi io ricevo insulti deliranti da persone che si credono interpreti di una realtà che non c' è, e quando le metti davanti alla loro insensatezza, si perdono. Salvini ha avuto il merito di sdoganare la superiorità morale del centrodestra, e un urlo liberatorio si è levato dal Paese». È questa la ragione del boom di consensi?  «Non solo. Credo che la ragione principale sia che Matteo ha saputo interpretare le esigenze e le preoccupazioni della gente e poi ha iniziato a fare quello che ha promesso, dimostrando buona volontà e pragmatismo. Prima di lui, all' indomani del voto le promesse elettorali diventavano carta straccia per chi governava». Quindi il segreto del successo è la politica sull' immigrazione?  «Salvini ha fatto crollare tabù importanti: si diceva che gli sgomberi non si potevano fare, noi li facciamo, o che l' immigrazione era un fenomeno incontenibile, noi attuiamo i respingimenti. La sinistra non faceva queste cose non perché impossibili, ma per condizionamenti ideologici, convinta che i centri sociali rappresentassero il futuro. E i giudici le davano manforte, sostenendo che le occupazioni o l' immigrazione fossero legittime perché dovute a stato di necessità, ma così si legittima il crimine: a parte i pazzi, tutti commettono reati per ragioni di necessità». Si parla di partito unico del centrodestra, lei che guida una regione con Forza Italia e Fdi, cosa ne pensa?  «Credo che la diversità, anche all' interno dello stesso schieramento, sia un valore. I processi di fusione artefatti non hanno mai successo. Non ci saranno predellini come quello di Berlusconi per fondare il PdL. Può darsi però che, naturalmente, sempre più persone confluiscano su un' unica forza della coalizione, svuotando le altre. Ma senza traumi». Il tallone d' Achille è l' economia. Possiamo dirlo?  «Senz' altro è il tema su cui ci giudicheranno dopo l' immigrazione. Mi sembra però che la situazione sia più serena. Salvini è entrato in campo e ha rassicurato tutto il Paese e i mercati, segno che si è fatto una credibilità internazionale ed è vissuto come rassicurante all' estero, malgrado quello che certi giornali scrivono in Italia». Salvini ha ridotto i grillini a miti consensi?  «La Lega ha avuto migliaia di amministratori, ha esperienza di governo. Siamo una garanzia di pragmatismo anche per i grillini». Ma lei ci va d' accordo?  «Io sono un soldato della Lega. Qui in Lombardia poi, hanno sostenuto l' autonomia fin dal primo minuto». Sulle infrastrutture però avete visioni diverse.  «Non si può governare la Lombardia e non essere totalmente a favore delle opere pubbliche come la Pedemontana. Noi partiamo e sono convinto che M5S si renderà conto cammin facendo che l' opera è necessaria». Ha parlato di autonomia: a quasi un anno dal voto ancora non c' è, è un' utopia?  «L' autonomia della Lombardia sarà il lascito del mio mandato. Entro l' anno finirà il confronto a Roma con i singoli ministeri per le 15 materie indicate. Tra dodici mesi saremo autonomi ed entro il 2020 trasferiremo tutto il personale e le attività». E cosa cambierà per la gente?  «Avremo 3-4 miliardi in più da investire sul territorio. Potremo, per esempio, pagarci da soli la Pedemontana. Per quanto riguarda la vita concreta dei cittadini, avranno servizi migliori e qualche tassa in meno. Il tutto senza sottrarre soldi allo Stato, anzi facendogli un favore». Questa la deve spiegare.  «Il modello di amministrazione lombardo è il migliore del Paese, infatti siamo la regione che costa meno di tutte. I 3-4 miliardi in più sono il risparmio che riusciremo a fare quando saremo totalmente liberi di amministrarci. E questo sarà un vantaggio anche per lo Stato, che non sprecherà risorse. L' hanno capito anche molte altre regioni, che hanno chiesto l' autonomia dopo noi, il Veneto e l' Emilia». Almeno metà però non lo ha fatto.  «Non hanno avuto il coraggio di accettare la sfida di essere migliori dello Stato. Mi spiace per loro. Specie al Sud, le classi dirigenti non hanno avuto il coraggio di lanciare la sfida dell' efficienza». di Pietro Senaldi

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