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Pierluigi Bersani fa godere Matteo Salvini: "Oggi i vecchi comunisti votano Lega"

Davide Locano
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«Guardate che i comunisti di una volta oggi votano Lega». Oh! Ci voleva Pier Luigi Bersani, uno che spesso ha ragione anche quando milita dalla parte del torto, per rivelare la verità che nessuno nel Pd riesce ad ammettere. Ovvero che adesso è la destra sovranista di Matteo Salvini a coprire lo spazio politico un tempo presidiato dalla sinistra di piazza, di popolo, di testa e di cuore. Nel generale impazzimento del discorso pubblico intorno al futuro del Partito democratico, nella palude di un dibattito immiserito dalle faide tra piccoli potentati residuali in lotta verso un congresso fantasma, bisogna ascoltare la mite saggezza dell'ex ministro liberalizzatore che non ha mai rinunciato a contrastare la deriva fighetta del proprio partito, al punto da uscirne in polemica con Matteo Renzi e il suo entourage gigliato. Intervistato assieme a Marco Travaglio, il leader di Leu ha censito le cause dei fallimenti della classe dirigente piddina, dal referendum costituzionale del 2016 fino al tracollo del 4 marzo scorso e all'illusione attuale che sia sufficiente sedersi sul divano con i pop corn in mano, nell'attesa che la maggioranza gialloverde imploda su se stessa. Leggi anche: Dramma-Bersani, umiliato alla Festa de L'unità Intendiamoci, Bersani non è tenero e si mostra perfino minaccioso verso la Lega di governo - «si ricordino che, se loro menano le mani, le meneremo anche noi e storicamente finisce male per loro» -, eppure esprime un punto di vista di elementare buon senso. Il suo è un atteggiamento di realismo combattivo che deriva dalla lunga esperienza, dal contatto decennale con quel che fu la sinistra profonda dell'Italia post comunista. Il messaggio è forte e cupo: nel corredo genetico della sinistra c'era prima di ogni altra cosa l'attenzione per gli esclusi e la difesa dei ceti svantaggiati - nelle sue parole: «non abbandonare mai chi rimane indietro» -, un tratto fondante che oltre dieci anni fa, nella legislatura 2001-2006, consentì agli allora Ds di recuperare un divario enorme rispetto al centrodestra di governo. IMPLACABILE In quel periodo Bersani cercò di contrastare la narrazione berlusconiana dei «ristoranti pieni», intuendo per primo l'onda lunghissima di una crisi economica ingenerata dagli effetti dell'11 settembre, mai davvero finita e anzi ravvivata drammaticamente dalle successive tempeste finanziarie. Del governo ulivista che avrebbe poi scalzato il centrodestra, si ricorderanno poche cose e fra queste le così dette lenzuolate con le quali Bersani tentò di sbullonare alcune rendite corporative e finanziarie. L'uomo si è occupato di lavoro e industria in un'epoca che oggi appare remota, pur non essendolo, nella quale il rapporto tra politica e blocchi sociali era costante, così come il monitoraggio continuo delle periferie e dei territori disagiati. Il che, in questo momento, rende più veritiera la sua non fredda ma implacabile analisi del declino goscista: «Serve una sinistra popolare che si occupi dei problemi veri e non si faccia seghe mentali; non ci servono bendierine settarie ma idee… perché i pop corn non funzionano e anzi dobbiamo creare una proposta alternativa a Salvini, che intanto usa buone ragioni per eccitare cattivi sentimenti». E ancora: «Della milionata di voti che prendemmo negli anni passati, metà è rimasta a casa, quasi metà è finita ai Cinque stelle e un bel pezzo alla Lega». Le buone ragioni di cui parla Bersani, e di cui abuserebbe Salvini, sono addirittura banali: l'esigenza di protezione, di lavoro, di decoro. Vale a dire tutto ciò che un tempo la sinistra rubricava sotto lo slogan della lotta di classe, e che via via s'è snaturato sino a dissolversi nella lotta di genere, nella superstizione astratta dei diritti civili e dell'inclusione a tutti i costi. Non che Bersani sia proprio innocente nei confronti della deriva boldrinesca, poiché anche lui è stato ed è ancora un sostenitore dello ius soli. Tuttavia il vecchio Pier Luigi mostra di avere l'onesta intellettuale - sarei tentato di dire: la forza morale - per essere spietato con il proprio mondo. IL VERTICE Non è un caso se, nel vertice di centrodestra andato in scena due giorni fa a Palazzo Grazioli, Salvini ha prenotato per la sua Lega le prossime candidature alla presidenza delle regioni rosse del centro Italia: anche gli ultimi insediamenti identitari di una sinistra in ritirata sono diventati contendibili dal partito a più alto tasso d'identitarismo patriottico e sociale. Di questo passo, prima poi si potrebbe fare lo stesso discorso sui sindacati: dopo la recente sbandata grillina della Cgil, in particolare dei metalmeccanici, è sempre Salvini il maggior indiziato fra coloro che puntano ai consensi in libera uscita dalla logica delle antiche obbedienze. Bersani, insomma, ci ricorda che il campo di destra e quello di sinistra esistono ancora; ma in assenza di alternative la destra si sta dimostrando capace di occupare sia l'uno sia l'altro. di Alessandro Giuli

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