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Luigi Di Maio, il retroscena di Augusto Minzolini. Sfogo con i suoi: "Non sono un cogl***e, ho firmato io"

Cristina Agostini
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Non si è mai visto nella storia della Repubblica un governo che, nella persona del vicepremier grillino in questo caso, minaccia di denunciare se stesso alla Procura. E Luigi Di Maio sa, scrive Augusto Minzolini in un retroscena su il Giornale, di averla combinata grossa e si sente solo, con quella "manina" che ha cercato di fregarlo: "Tutti pensano che io sia un coglione", si sfoga con i suoi, "ma non è così. Io non mi sogno le cose. Tanto più che sono stato io a verbalizzare il Consiglio dei ministri, visto che ero il più giovane. Giorgetti, infatti, ad un certo punto se ne è andato, perché aveva una cena a cui non voleva mancare". Leggi anche: "Uno leggeva, l'altro scriveva". Di Maio e Conte sputtanati: Salvini a valanga sulla buffonata della "manina" Secondo quanto sostiene Di Maio la parte sullo scudo e sui capitali all'estero, il famoso art. 9, non era nel testo licenziato da Palazzo Chigi. "In realtà", avrebbe detti il grillino, "avevamo raggiunto l'accordo anche con la Lega, per stralciare quella parte. E, comunque, anche ora dicano ciò che vogliono, ma io, quella roba lì, il riciclaggio per i mafiosi, non la voto e non la faccio votare. Il condono è robaccia della Lega e se lo vogliono scrivere in quel modo, se lo votino". Ma la rottura tra i due partiti, spiega Minzolini, non ci sarà. "La Lega torna a versare miele, è il partito migliore con cui si possa governare". Quini di chi è la manina? "Dall'identikit che il vicepremier grillino traccia ad uso dei suoi confidenti", scrive il giornalista, "emerge il solito personaggio, una via di mezzo tra Belzebù e la Pantera rosa, cioè Roberto Garofali, il capo di gabinetto di quell'uomo mite che è il ministro dell' Economia". 

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