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Franco Bechis, anche Paolo Gentiloni portò il deficit al 2,4% e l'Europa rimase muta

Gino Coala
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La Commissione europea ha contestato numerosi progetti di bilancio di Paesi dell' area dell' euro, non solo quello dell' Italia. Lettere di chiarimenti e segnalazioni di deviazioni significative dagli obiettivi programmatici sono giunte fra gli altri anche a Belgio, Francia, Portogallo e Spagna e portano curiosamente la firma non dei commissari, ma di un italiano, Marco Buti, direttore generale del dipartimento economia e affari finanziari della Commissione europea. Percentualmente anche le deviazioni di alcuni di questi Paesi sono simili a quella comunicata dal ministro italiano dell' Economia, Giovanni Tria. Ma il botta e risposta con l' Italia ha avuto altra eco ed è diventato un muso contro muso per ragioni più che evidenti, che hanno il loro cuore nella differenza totale fra la natura del governo italiano e quella dei governi degli altri Paesi "discoli". Leggi anche: Giorgetti, l'attacco violentissimo all'Europa: "Non siamo più supini, cos'è oggi l'Italia" Non è un tema tecnico legato alla qualità delle misure inserite in ciascuna legge di bilancio (qualche sfumatura c' è, ma non è il cuore della questione), bensì un contrasto di natura squisitamente politica. In fondo la contestazione originaria che i commissari europei fanno all' Italia è quella di una deviazione senza precedenti dal percorso stabilito dalle regole del fiscal compact e dalle raccomandazioni che la Commissione stessa aveva fatto a Roma nei primi mesi del 2018, quando il governo era ancora guidato da Paolo Gentiloni e ministro dell' Economia era Pier Carlo Padoan. Quella accusa però è una sorta di medaglia da mettere sul petto per i nuovi capi dell' esecutivo italiano, Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Il loro governo gialloverde è nato proprio per deviare significativamente da quei percorsi stabiliti da regole e raccomandazioni europee. Era il cuore del loro programma ed era anche il vero menù comune fra Lega e M5s offerto agli elettori durante la campagna elettorale. FUORI DEL CERIMONIALE Quei due partiti hanno radici diverse e sono stati avversari diretti quando si è trattato di chiedere il voto agli elettori. Alcune differenze sono profonde anche in politica economica, e sono state ben visibili nell' ultima settimana con il grande pasticciaccio del condono fiscale. In campagna elettorale l' uno prometteva una abbassamento radicale della «oppressione fiscale» con la flat tax, l' altro un sostegno alla povertà con il reddito di cittadinanza. Due sole cose li hanno davvero uniti: la prima è stato il progetto che entrambi avevano di mandare in pensione la legge Fornero. L' altra è stata proprio quella annunciata radicale deviazione dalle regole e dal programma che definivano di austerità dell' Unione europea degli ultimi anni. Di fatto questa intenzione è il principale collante fra i due partiti di governo in Italia, direi proprio il fondamento del contratto grazie a cui è partito l' esecutivo. Che mai poteva aspettarsi Bruxelles al momento della presentazione della manovra 2019? Non c' era atto più annunciato e quindi atteso di quella deviazione dai percorsi che la Ue aveva imposto all' Italia, e la vera sorpresa è stata vedere così sorprese vecchie volpi della politica come quei signori che ancora per qualche mese hanno in mano le redini della Commissione. Quindi potranno scriversi e riscriversi altre dieci volte, ma l' Italia non cambierà l' impianto della sua manovra economica. Non dico sia un bene o un male, semplicemente è così perché non può essere in altro modo, altrimenti verrebbe meno l' interesse stesso di stare al governo sia per Salvini che per Di Maio. Lo si capisce bene dal tono delle lettere con cui ha risposto ai rilievi Tria, rivendicando semplicemente quel che è stato scritto e pure rimarcando che l' Italia è più che cosciente della deviazione da quei percorsi stabiliti. I ministri francesi, spagnoli e portoghesi non hanno risposto così, ma hanno seguito il cerimoniale, spiegando di avere deviato perché a loro toccava questa o quella flessibilità per questa o quella ragione. L' ARMA DELLA DRAMMATIZZAZIONE Da Bruxelles oggi si tende a usare l' arma della drammatizzazione, sostenendo che questo extra deficit italiano mette a rischio non solo la stabilità di Roma, ma pure quella di tutti gli altri Paesi dell' area dell' euro. Questo a parte essere politicamente un errore, non ha alcun tipo di motivazione tecnica. Proprio ieri Eurostat ha certificato il livello di deficit italiano nel 2017: è stato pari al 2,4% del Pil. Nell' autunno precedente a quell' anno l' esecutivo di Roma aveva ipotizzato un risultato a fine 2017 pari all' 1,8% del Pil. Lo scostamento finale reale è stato sensibilmente più grande, con una previsione sbagliata addirittura di un terzo. Praticamente è accaduta nel 2017 la stessa cosa che oggi fa tanto scandalo con il nuovo governo. La sola differenza è che Gentiloni e Padoan prima hanno promesso quello che la Ue voleva sentirsi dire, poi però nella pratica hanno fatto quello che preannunciano oggi Salvini e Di Maio. E non è accaduto nulla. Non solo: ma per fare un pochino di deficit in più (anche all' epoca c' era stata una mini deviazione dagli obiettivi del fiscal compact), Gentiloni & C. scrivevano alla Commissione europea che dovevano mettere 0,2 punti di deficit in più perché avevano spese pazzesche come i 2,8 miliardi di euro che l' Italia avrebbe dovuto spendere nel 2017 per rimuovere le macerie del terremoto e affrontare la coda dell' emergenza. Ne ha speso meno della metà, e quasi tutti con fondi non suoi, ma proprio con i soldi messi a disposizione dalla Commissione europea. Quindi dobbiamo dedurre che i vari Juncker, Dombrovski e Moscovici preferiscono e di molto chi li prende per il naso e poi fa i comodi suoi rispetto a chi dice loro quel che ha intenzione di fare con sincerità. È stato questo il vero errore gialloverde: non prendere per i fondelli quei commissari. Avrebbero goduto come matti... di Franco Bechis

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