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Immigrazione, vescovi e coop rosse contro Matteo Salvini: il leghista ha smontato i loro loschi affari

Davide Locano
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Si fanno chiamare enti "no-profit", ma il "profit" non gli fa schifo affatto. Ci lavorano dei filantropi, ovvero persone che vivono per amare il prossimo. Questo amore però non è mica gratis, per i loro sentimenti pretendono essere pagati. Probabilmente in questo senso vengono definiti anche volontari: "vogliono" campare bene. È questo il paradosso della grande industria dell' accoglienza italiana, resa ricca negli ultimi anni da un numero impressionante di sbarchi sulle coste del nostro Paese. Parliamo di circa 36mila posti di lavoro egregiamente stipendiati. Assistenti sociali, traduttori, avvocati, personale sanitario e umanità varia. Professionisti attirati da un giro d' affari di circa cinque miliardi di euro, che ora tuttavia si sta sgonfiando. «La pacchia è finita» continua a ripetere in questi giorni Matteo Salvini. E l' esercito di benefattori trema e inizia a parlare in termini molto concreti: altro che migranti, qui c' è un problema di denari. Così da Trieste in giù risuonano i lamenti di sindacalisti e titolari di cooperative che protestano e annunciano tagli sanguinosi. E con loro c' è il mondo dell' azione benefica legata alla Chiesa che strilla. Ieri mattina Avvenire, quotidiano dei vescovi, lanciava in prima pagina il suo slogan: «Meno accoglienza, meno buon lavoro». Spiegazione: «Molti giovani professionisti qualificati potrebbero perdere la loro occupazione». Ma non era un problema di umanità? Forse per qualcuno, ma alla fine il vero nodo è che ci sono «diciottomila posti a rischio». Leggi anche: Immigrazione, Bersani tenta il suicidio in diretta tv SOGNI AGITATI Ovviamente ciò che turba i sonni dei buoni di tutta la penisola è il famoso "pacchetto sicurezza" del governo che, oltre a complicare la vita ai clandestini, prevede in parallelo una stretta sulle spese sostenute dallo Stato per gli immigrati. L' obiettivo è sborsare 19 euro al dì per ogni profugo. Prima erano 35. Come si ottengono questi risparmi? Semplice: verrà tagliata una lunga serie di servizi di cui gli stranieri potevano usufruire, per esempio i corsi per la formazione professionale e le attività per il tempo libero (ci vuole un po' di sport, che sennò mi si affloscia il migrante). Non ci saranno più gli addetti al supporto nella richiesta di asilo e salteranno pure gli psicologi per i casi più spinosi, che non sono pochi. Spiega Simone Andreotti, della cooperativa InMigrazione: «Il non sostenere adeguatamente fragilità sociali e psicologiche può portare a concreti rischi, anche per la sicurezza e l' incolumità delle persone accolte e per la comunità ospitante». Insomma, se non gli paghiamo la terapia questi c' ammazzano. Molto rassicurante. A STECCHETTO Al Viminale, però, non sentono ragioni. Bisogna snellire il sistema e la dieta è già iniziata. A Treviso per esempio la Cgil parla di una «bomba a orologeria». E ciò, spiega Nicola Atalmi della Cgil, per i «ritardi nei pagamenti superiori ai 6 mesi a causa delle complicazioni burocratiche nella rendicontazione che mettono a rischio gli stipendi di quasi trecento persone, spesso giovani e qualificati». E cambiare mestiere non è un' ipotesi sul tavolo. D'altra parte le Coop non operano soltanto nel laborioso Nord, ma anche in tante aree depresse del Meridione. È il caso del meraviglioso "modello Riace", cittadina calabrese che ha scelto di sfidare il governo pur di accogliere più africani possibile, arrivando fino alla cacciata del sindaco. Tutta gente di buon cuore? Ne siamo certi, ma c' è dell' altro. Giuseppe Gervasi, vicesindaco del Comune, ha recentemente chiarito che c' è un altro problema che non lo fa dormire: «Non rischia di essere cancellata solo l' accoglienza per i migranti, ma l' intera economia del paese, qui sono in gioco sessanta di posti di lavoro». C' era una miniera d' oro, ora non c' è più. di Lorenzo Mottola

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