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Vittorio Feltri, amara verità: "La fine del calcio italiano è figlia di troppi stranieri"

Maria Pezzi
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Dato che è sabato posso concedermi una pausa e parlare di calcio, di cui sono moderatamente appassionato. Nei giorni scorsi i tifosi italiani erano eccitatissimi, illusi che le nostre squadre fossero in procinto di dominare in Europa, festeggiando così la rinascita internazionale dell' amato football patrio. C'erano il Napoli, la Roma e l' Inter attrezzate sulla carta a dominare qualunque avversario, poi la Juventus che affrontava i simpatici svizzerotti con animo sereno. Eravamo pronti a gioire, e ovviamente a brindare, invece è stata una catastrofe. Due crudelmente scartate dalla competizione continentale, i giallorossi e i bianconeri sconfitti come poveri allocchi. La Juve sul terreno elvetico, per altro sintetico, ma non buttata fuori dalla Champions grazie ai discreti risultati precedenti. Idem la formazione capitolina. Sembrava che il club torinese fosse avviato allegramente alla conquista del titolo. Errore. Ha dimostrato di dover faticare per rimanere in corsa. Per approfondire leggi anche: Juventus. l'incubo di Massimiliano Allegri Brutto segnale benché non tale da azzerare le speranze di gloria. Vederèm, come si dice in Lombardia. Andiamo avanti. Il Milan in Grecia rimedia una figura di palta. Eliminato. Sorvoliamo sulla Lazio in crisi profonda. In conclusione. La propagandata resurrezione del pallone di casa nostra è andata a pallino. Disastro su ogni fronte, gioco modesto e sterile, forza fisica poco più che zero, volontà pari a quella di un gruppo di chierichetti annoiati. Insomma, nel giro di pochi dì, gli eroi immaginari si sono rivelati delle scamorze, quali sono da parecchi anni a questa parte. Il pubblico è avvilito. Non c' è niente di più struggente di un fallimento generale non previsto. Ci sono momenti di ottimismo che vengono distrutti in 90 minuti e ciò abbatte. Se riflettiamo, l' andamento dello sport più popolare rispecchia quello politico nonché economico: quando supponiamo di esser usciti dal grigiore, all' improvviso e inopinatamente ci ritroviamo nel buio fitto. Ci eravamo sbagliati. Il morale crolla, la fiducia pure. Tuttavia non dobbiamo stupirci. Da lustri non siamo capaci di coltivare neppure l' orgoglio campanilistico che un tempo ci dava energia, non mandiamo più in campo la razza Piave e nemmeno i ragazzi cresciuti all'oratorio o quelli che tiravano calci per strada: assumiamo e coccoliamo brocchi stranieri, neri o non neri, brava gente priva di attaccamento alle città che rappresentano. Per correre, corrono, ma a cazzo. Pensano allo stipendio, non al cuore di chi ingenuamente li segue come fratelli fortunati. Persino una squadra storicamente paesana e ruvida quale la mia Atalanta oggi schiera dieci calciatori su undici provenienti da mezzo mondo, nonostante disponga del settore giovanile più prolifico del Paese. Scelte che probabilmente hanno un senso, che però non comprendiamo perché gli esiti sono nefasti. Farei notare al lettore che solo due atleti nostrani hanno segnato in Champions. Vorrà dire qualcosa o no? Bartali direbbe: gli è tutto da rifare. di Vittorio Feltri

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