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Luigi Di Maio, disastro al Mise: "Sì alle trivellazioni", M5s e ministro Costa in rivolta

Giulio Bucchi
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Erano No Euro e diventarono Filo-Euro. Erano No Ilva e lasciarono aperta l' Ilva. Non volevano la Tap, poi diedero il via libera alla Tap. Si pensava che avessero ormai toccato il fondo. E invece decisero di andare ancora più a fondo, nel mare, decidendo di trivellarlo. L' ultimo capitolo della saga Di Maio & Co. i Voltagabbana riguarda la concessione alla trivellazione di nuovi pezzi di mare per l' estrazione di idrocarburi, pratica che era stata tanto avversata dai 5 Stelle e che ora diventa oggetto di un provvedimento del governo a essa favorevole. Con tre decreti emessi dal Mise, il ministero dello Sviluppo economico facente capo a Di Maio, in data 7 dicembre 2018, e pubblicati poi sul Buig (il Bollettino Ufficiale degli Idrocarburi e delle Georisorse) l' ultimo giorno dello scorso anno, è stata autorizzata l' attività di ricerca petrolifera nel Mar Jonio, su una superficie totale di circa 2.200 km/q, a vantaggio di una società americana, la Global MED LLC. Si noti come il testo in cui i decreti sono stati pubblicati (un bollettino per addetti ai lavori) e il giorno di diffusione dello stesso bollettino (il 31 dicembre!) abbiano contribuito a far passare la mossa quasi inosservata. Fino a che non l' hanno notata alcuni esponenti dei Verdi, denunciando il cortocircuito rispetto alle posizioni pregresse del Movimento. I 5 Stelle avevano avversato la legge Sblocca Italia di Renzi che privava le Regioni della competenza in materia di estrazioni, e si erano esposti per fermare le trivelle in occasione del referendum del 2016. Insomma, fino a qualche tempo fa, scrivevi 5 Stelle e leggevi No Triv. Giustificazioni - Poi le abissali differenze tra l' attività di fare opposizione e quella di governare, le lecite pressioni delle lobby del petrolio e l' incapacità di inventarsi un vero piano alternativo sull' energia hanno indotto Di Maio e la sua banda a un' ennesima, clamorosa, retromarcia. A beneficiarne sarà questa società americana, la Global MED LLC, il cui titolare è il magnate Randall C. Thompson, uno che spende e spande denari nell' estrazione del petrolio in mezzo mondo, dal Sud Africa alla Nuova Zelanda, dalla Cina al Belize, e che nello Jonio ha già investito milioni di dollari per l' applicazione di 6 piattaforme offshore. E uno che non si fa scrupoli nello svolgere un' attività a metà tra il prestanome e l' immobiliarista delle trivelle: le compra, le fa lievitare di prezzo grazie a buone performance e poi le rivende a costi maggiorati, salvo ricomprarle qualora l' operazione suoni di nuovo conveniente (ha fatto così con le piattaforme al largo della Nuova Zelanda). E uno che, qualora la legislazione del Paese impedisca eccessive concentrazioni, spacchetta furbamente i suoi investimenti (nello Jonio Thompson godrà di tre nuove superfici, da circa 750 km/q l' una). Sia chiaro, nulla di illecito: è il petrolio, bellezza. Solo che, per un partito anti-trivelle come i 5 Stelle, questo è un modo straordinario per darsi la trivella sui piedi e non solo lì. E infatti ora gli esponenti grillini al governo arrancano per trovare una spiegazione plausibile. Il ministro dell' Ambiente Sergio Costa dice che «da quando sono ministro, non ho mai firmato autorizzazioni a trivellare il nostro Paese e mai lo farò», e che in merito ai decreti la colpa è dei governi passati: «I permessi rilasciati dal Mise», afferma, «sono il compimento amministrativo obbligato di un sì dato dal ministero dell' Ambiente del precedente governo». Ancora più divertente è il sottosegretario al Mise Davide Crippa (M5S) il quale assicura che «è stato avviato l' iter di rigetto per 7 permessi di ricerca del petrolio in Adriatico e nel Canale di Sicilia». Il che non ci azzecca nulla, dato che qui si sta parlando di tre permessi di estrazione nello Jonio. Ma la geografia, come la coerenza, si sa, non è il punto forte dei grillini Botta e risposta - Gli unici a trarre beneficio politico dalla vicenda rischiano di essere i governatori delle Regioni interessate dalle estrazioni, ovvero Puglia, Calabria e Basilicata, tutti contrari a nuove perforazioni. A cominciare dal presidente della Puglia, Michele Emiliano, che annuncia ricorso e attacca: «Di Maio e Costa sono come Renzi e Calenda. Con la differenza che Renzi e Calenda erano dichiaratamente a favore delle trivellazioni, mentre Di Maio e Costa hanno tradito quanto dichiarato in campagna elettorale». Alla fine si fa sentire lo stesso Di Maio. Ovviamente per negare ogni responsabilità: «Ho scelto il ministero dello Sviluppo economico anche perché sapevo che da queste parti passano le autorizzazioni a trivellare il nostro territorio e i nostri mari. Oggi mi si accusa di aver autorizzato trivelle nel mar Jonio. È una bugia». E spiega: «Queste "ricerche di idrocarburi" (che non sono trivellazioni) erano state autorizzate dal governo precedente e in particolare dal ministero dell' Ambiente del ministro Galletti. A dicembre, un funzionario del mio ministero ha semplicemente sancito quello che aveva deciso il vecchio Governo. Non poteva fare altrimenti, perché altrimenti avrebbe commesso un reato. Ho letto che Emiliano intende impugnare queste autorizzazioni. Sono contento. Ma non sarà un ricorso contro Di Maio, bensì sarà un ricorso di un governatore del Pd contro una autorizzazione rilasciata dal Pd». di Gianluca Veneziani

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