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Luigi Di Maio fatto a pezzi, la rivolta M5s dopo il caso-Diciotti: "Come voteranno in aula", voce-bomba

Davide Locano
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Se i Cinque Stelle fossero un esercito saremmo davanti a un ammutinamento e qualcuno finirebbe al muro. Essendo una banda di descamisados scappati di casa tra i quali l' insulto reciproco è la norma e il cui fondatore (Beppe Grillo) ormai contesta in pubblico le scelte del capo (quello vero, Davide Casaleggio), è impossibile dire che sviluppi avrà la rivolta. L' unica certezza è che Luigi Di Maio non li ti tiene più. L'idea di scaricare sui militanti la responsabilità di rinnegare i valori forcaioli delle origini non ha funzionato: per salvare Matteo Salvini il vicepremier grillino ha azzoppato se stesso e aperto la faida nel movimento. La senatrice Paola Nugnes fa da Cassandra: «Con questo voto il M5S ha perso una parte della sua natura, dal punto di vista elettorale dovrebbe costare caro. Nella mia bolla di percezione il dissenso è ampissimo». Tra i parlamentari c'è chi proclama che da adesso in poi si riterrà libero di votare come meglio crede su ogni provvedimento, a partire proprio dal voto in aula sul leader della Lega e dalla riforma della legittima difesa. L'ala governativa è tentata di minacciare l' espulsione dei «talebani». Leggi anche: Di Maio si fa deridere pure da Laura Boldrini «ANDATE VIA» Nell'assemblea di lunedì sera la romana Paola Taverna, vicepresidente del Senato, assieme agli altri titolari di poltrone pregiate li ha invitati ad andarsene. Ma hanno paura a parlare di epurazioni a voce alta, perché è concreto il rischio di scatenare la reazione di dieci, venti deputati e senatori. «Ora in Parlamento siamo minoranza, fuori non credo. È ovvio che una riflessione va fatta», avverte la deputata campana Doriana Sarli, una di quelli che affilano le armi. Sul territorio la ribellione è già partita. In città-simbolo come Torino, tra i consiglieri comunali si parla di «votazione manipolata» e c' è chi annuncia che da oggi si dedicherà a «costruire il vero Movimento 5 Stelle», lontano dalla piattaforma Rousseau e da chi la comanda. Dalla Sicilia l' ex candidato a sindaco di Palermo, Ugo Forello, chiama la base alla rivolta, «perché la conduzione del capo politico e dei vertici ha portato ad una mutazione genetica che non è più accettabile». E indica i nuovi leader: «Paola Nugnes, Elena Fattori, il presidente Roberto Fico, i sindaci Raggi, Appendino e Nogarin». Nessuno evoca Alessandro Di Battista come possibile salvatore della patria, e anche questo vuol dire qualcosa. Il suo ritorno sulla scena non ha arrestato il crollo del movimento, che negli ultimi sondaggi (fatti prima della votazione su Salvini...) è sceso pericolosamente vicino alla soglia del 20%. INCORONAZIONE DI FICO Fosse per i tanti delusi, l'incoronazione di Fico a nuovo leader politico si farebbe oggi stesso. Il presidente della Camera non si schiera, ma manda i suoi fedelissimi a contestare Di Maio. Uno di loro, il deputato Luigi Gallo, scrive che quel 41% dei militanti che ha votato per spedire Salvini a processo «è pronto a mobilitarsi e vuole chiedere conto della direzione di questo governo». Lunedì, se i risultati usciti dalle urne sarde si riveleranno brutti come i grillini temono, la posizione di Di Maio diventerà ancora più difficile da difendere. Il vicepremier sa che deve fare qualcosa, ma non intende cedere la guida politica del M5S per concentrarsi sul governo, anche se sono sempre più in tanti a chiederglielo. L'idea che gli è venuta è quella di ridisegnare il movimento sul modello dei partiti tradizionali, dotandolo di una «organizzazione permanente a livello territoriale e nazionale» e rendendo possibili le alleanze con le liste civiche, ritenute necessarie per limitare le batoste alle amministrative. Sarebbero altri due tradimenti della natura originaria della creatura di Grillo: gli apparentamenti elettorali, specie al Sud, sono stati sempre ritenuti sinonimo di contaminazione con la criminalità organizzata. Ma qualunque cosa è meglio che stare fermi e continuare a prendere schiaffi. di Fausto Carioti

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