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Matteo Salvini, l'ultimatum a Giuseppe Conte e Luigi Di Maio: "Siri? Decida il premier, vado avanti"

Cristina Agostini
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Il «caso Siri», il sottosegretario della Lega al quale il ministro pentastellato, Danilo Toninelli, ha revocato le deleghe perché indagato per corruzione nell' ambito di una inchiesta sull' eolico, per ora resta un caso. Dai contorni un po' sfrangiati, vista la coda di polemiche innescate sulle intercettazioni, vere o presunte. Ma sempre di «caso» si tratta. E proprio per questa ragione il leader della Lega, Matteo Salvini, ha pensato bene di ristabilire l' ordine dei fattori. «Conte sta decidendo. Io parlo di vita vera e non di altro», afferma il vicepremier. Chiaro il riferimento del ministro dell' Interno alle fughe in avanti degli esponenti grillini, che hanno già «condannato» il sottosegretario della Lega, ancor prima della magistratura. La procura di Roma ha trasmesso al Tribunale della Libertà l' informativa della Dia di Trapani con l' intercettazione ambientale che lo tira in ballo. Ma per ora non sembra che i difensori l' abbiano ritirata. Il contenuto resta dunque «ignoto» alle persone coinvolte nell' indagine. Leggi anche: "Durati come l'uovo di Pasqua". Berlusconi, coltellata a Salvini: il durissimo sfogo con i suoi E così, in attesa dell' annunciato incontro chiarificatore tra Siri e Conte, che potrebbe tenersi già domani anche se il margine di dubbio resta molto ampio spostando in avanti le lancette, ieri non ci sarebbero stati contatti tra gli esponenti della maggioranza per arrivare a una soluzione del nodo. E questo la dice lunga sullo stato dell' arte del «caso Siri», usato dai 5 Stelle in modo sempre più strumentale. «Se il premier deciderà di revocare l' incarico a Siri», sottolinea Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera, «dovrà confrontarsi con il partito che lo ha scelto, così come avrebbero dovuto fare i 5 Stelle. Togliere le deleghe a Siri è stato, da parte di Toninelli, un gesto non proprio amichevole, sicuramente irrituale». La situazione, insomma, potrebbe anche rimanere congelata, in attesa degli sviluppi da parte della magistratura. Ma quel che conta, al momento, è il fronte politico. I 5 Stelle pretendondo le dimissioni di Siri, la Lega lo sostiene con forza, ribadendo la necessità che resti al suo posto. L' ultima parola, però, spetta al premier. Il quale ha chiarito che, se deciderà per le dimissioni di Siri, la sua sarà comunque l' ultima parola sull' intera vicenda. Chiaro il messaggio: se decido io, poi il caso è chiuso. Per tutti. «Se la mia determinazione andrà nella direzione delle dimissioni», spiega Conte, «troverò il modo di scollarlo dalla poltrona». Alla luce di tutto ciò le parole di Salvini suonano come un «avviso di garanzia» per i grillini: «Io non ho tempo per litigare, c' è il contratto, vado avanti come un treno. Per me l' Italia ha bisogno di sì», ha sottolineato il vicepremier. La campagna elettorale per le europee non può certo essere messa a rischio da un caso così. Del resto anche a Palazzo Chigi temono che la vicenda possa avere ricadute sulla fiducia che gli elettori hanno riposto nel governo. L' immagine dell' esecutivo sarebbe «a rischio». Non tanto perché il «caso Siri» rappresenti l' ennesimo motivo di tensione fra Lega e 5 Stelle, quanto per i presunti contenuti delle accuse che la Procura rivolge al sottosegretario leghista. Siri è indagato per corruzione in un' inchiesta che tocca persone ritenute vicine alla mafia. Il timore, sussurrato a denti stretti, è che l' indagine possa trasformarsi in un lento stillicidio, con la possibiità che emergano nuove carte. Prima di ogni mossa, però, il sottosegretario deve essere messo in condizione di capire cosa contenga davvero il fascicolo della magistratura. di Enrico Paoli

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