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Armando Siri, Mattarella e la sentenza del costituzionalista: "Perché la decisione di Conte non conta nulla"

Giulio Bucchi
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Sarà Sergio Mattarella, e non Giuseppe Conte né i ministri, a decidere la sorte politica di Armando Siri. Il premier ha annunciato la volontà di presentare la revoca delle deleghe del sottosegretario leghista alle Infrastrutture nel prossimo CdM, e in assenza di dimissioni del diretto interessato i ministri leghisti e grillini saranno chiamati a votare se accettare o meno la cacciata di Siri. Un pericolosissimo caso politico, perché si potrebbe dunque arrivare a uno scontro senza ritorno tra i due partiti della maggioranza, con annessa implicita sfiducia allo stesso Conte.  Leggi anche: "Se Salvini gli dice Resta lì...". Voce dal cuore Lega: grillni come mosche impazzite Il bello è che tutto questo non avrebbe alcun valore istituzionale, spiega il costituzionalista Massimo Luciani al Corriere della Sera. "I sottosegretari vengono nominati con decreto del presidente della Repubblica, su proposta del presidente del Consiglio, di concerto con il ministro competente, sentito il Consiglio dei ministri". E dunque "serve un atto giuridico uguale e contrario" per destituire un sottosegretario. "Non sembra dubbio che alla proposta del presidente del Consiglio debba seguire un decreto del capo dello Stato". Mattarella, però, potrà decidere in totale autonomia e il voto dei ministri non sarà in alcun modo vincolante. "Il presidente, che dirige e non determina la politica del governo, dovrà probabilmente prendere atto dell'orientamento del Consiglio dei ministri" ma potrebbe anche ignorarle dopo sue attente valutazioni, perché "la legge si occupa solo del percorso di andata, non di quello di ritorno" delle nomine e dunque lascia pieno potere non solo formale al presidente della Repubblica. Risultato paradossale: si potrebbe arrivare al punto di un Mattarella che "salva" Siri dopo che i ministri hanno votato a maggioranza per la sua cacciata con tanto di crisi di governo innescata. 

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