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Matteo Salvini, la vergogna della sinistra: il passaggio del libro-intervista per cui gli danno del fascista

Davide Locano
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L'unica frase del testo riferita al fascismo serve a denunciare quanto quella ideologia sia ormai morta e sepolta. Ennesima conferma di come tutto il polverone sollevato in merito al libro-intervista a Matteo Salvini, pubblicato dalla casa editrice Altaforte, fosse infondato. Il volume Io sono Matteo Salvini. Intervista allo specchio (pp. 168, euro 17), "proibito" al Salone del Libro di Torino dove doveva essere esposto nello stand poi revocato alla casa editrice vicina a CasaPound, è un' agevole chiacchierata in cui il vicepremier si racconta, tra pubblico e privato, alla brava giornalista Chiara Giannini che ieri ha incaricato il suo legale di diffidare gli organizzatori della kermesse torinese per danno di immagine. Un danno cui si è associata curiosamente una straordinaria pubblicità al libro che, prima ancora di essere pubblicato, aveva già venduto 6mila copie. Leggi anche: Il ruggito di Salvini contro l'Europa che infiamma la piazza Venendo al testo, è saliente il passaggio in cui Salvini dichiara la sua distanza da ogni ideologia estrema, sia di destra che di sinistra. Già ai tempi del liceo, racconta, «i miei coetanei si dividevano tra "fasci" e "kompagni", una distinzione che puzzava di vecchio, rattrappita com' era tra l' idealizzazione di un passato che non avevano vissuto i primi e un sol dell' avvenire decisamente al tramonto per i secondi». Altro che apologia di fascismo contenuta nelle pagine del libro incriminato. A maggior ragione Salvini giustifica la sua scelta di militare nella Lega, lontana da ogni vecchio schema ideologico: «Parlava al presente e al futuro», dice, «con una trasversalità liberatoria rispetto alle eredità del passato che soffocavano le altre tradizioni politiche». E, in quest' ottica, ricorda come il suo unico vero mito politico, da ragazzo, sia stato Umberto Bossi, colui che ebbe il coraggio di rompere con la Prima Repubblica (così come Salvini ha avuto il coraggio di rompere con la Seconda, è il sottinteso), il capo che «mi telefonava a casa per rimproverarmi di non aver fatto questo e quello. E io ero contento che Bossi trovasse il tempo di parlare con me». A proposito di presente e futuro il vicepremier si sbilancia anche sugli equilibri politici di oggi e domani. E, pur definendo Di Maio «una persona seria, corretta» e Conte «una figura di grande spessore», non chiude le porte al centrodestra, anzi lascia intuire la possibilità di ravvivare la coalizione con Forza Italia e Fratelli d' Italia: «In Parlamento abbiamo convergenze importanti sul tema fiscale, sulla sicurezza», ammette. «Penso che potremo fare molta strada insieme. A partire dalla prossima legislatura, chi può dirlo». Anche perché la camicia di forza dell' alleanza coi 5 Stelle inizia a stargli un po' stretta tanto che Salvini si concede una battuta sugli eccessivi vincoli imposti da quell' accordo: «Ho smesso di fumare, sempre che Di Maio sia d' accordo. Devo consultarmi con lui perché questa del fumare non è nel contratto di governo». Per il resto il segretario leghista rivendica i risultati ottenuti nel contrasto all' immigrazione, con quella dose di realismo che gli è propria: «I porti chiusi non sono la soluzione al problema. Servono per curare il sintomo, ma non la malattia. Per agire sulle cause profonde occorre un' intesa a livello europeo». E, interrogato sul caso Diciotti, spende parole ficcanti sull' attivismo di alcuni magistrati. Pur riconoscendo che «quello del magistrato è il lavoro più duro del mondo», pone l' accento sull' esistenza di «inchieste strampalate e infinite» a causa delle quali «la magistratura rischia di perdere credibilità». Da ultimo, c' è il Salvini privato, non nostalgico ma rievocativo: ricorda il pupazzo di Zorro rubatogli all' asilo, suo primo sopruso subito, le ruspe (giocattolo) con cui si dilettava da bimbo, e la sua prima fidanzatina che si chiamava Francesca. Come la sua attuale compagna. O «come tantissime altre persone», chiosa lui, «che hanno in comune lo stesso nome». di Gianluca Veneziani

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