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Alfonso Bonafede, il ministro 5 Stelle travolto dalla faida tra giudici si fa umiliare dai suoi "sottoposti"

Cristina Agostini
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In un mondo normale il ministro della Giustizia italiano sarebbe Giulia Bongiorno, che oltre ad essere uno dei migliori avvocati del Paese ha una cultura giuridica garantista, conosce la separazione tra poteri e la difende: gli eletti dal popolo scrivono le leggi, i magistrati le applicano. Nella distopia in cui viviamo da un anno l' incarico di Guardasigilli è toccato invece al grillino Alfonso Bonafede, che sta alla collega leghista come una motozappa sta a Cristiano Ronaldo. Si ignora se il nativo di Mazara del Vallo trapiantato a Firenze abbia letto Montesquieu e Voltaire, ma non importa granché, perché fa fede il risultato: se li ha letti non li ha capiti. Nel mondo di Alfonso le leggi le scrive la base del movimento Cinque Stelle, convinta che contribuente sia sinonimo di evasore fiscale, che imprenditore significhi tangentaro e che chiunque ricopra un incarico pubblico debba ritenersi corrotto sino a prova contraria. Da qui, l' appiattimento a sogliola sulla linea di certe procure e sugli editoriali di Marco Travaglio, che poi sono la stessa cosa. L' abolizione della prescrizione che renderà eterni i processi (ce ne accorgeremo dal 2020), l' ideona di dare carta bianca ai pm nell' uso dei software di spionaggio per i cellulari («rischiamo la videosorveglianza di massa», dice il garante della Privacy) e le altre delizie che Alfonso ha preparato per noi nascono da qui. La cosa più intelligente che abbia mai detto gli uscì di bocca nella prima intervista da eletto, all' Huffington Post: «Se il Movimento Cinque Stelle si alleasse con i partiti, non sarebbe comunque garantita la governabilità, troppe differenze». Si fosse preso sul serio sarebbe stato meglio per tutti. Invece si è rimangiato il proposito, tanto da svolgere un ruolo decisivo nella nascita del governo gialloverde. È stato lui, infatti, a far incontrare Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, i suoi numi tutelari. Al primo si era rivolto quando tentava di fare carriera accademica, dopo essersi laureato a 26 anni con 105/110 all' università di Firenze. Al secondo si aggrappò una volta entrato nel circolo grillino del capoluogo toscano. Leggi anche: Indiscreto: Mattarella ha deciso, si va a votare. Cosa ha spinto il Quirinale a rivedere le strategie Sino ad allora Bonafede era sembrato uno dei tanti senz' arte né parte che si arrabattano in cerca di un posto al sole. Negli anni in cui la Bongiorno difendeva Giulio Andreotti a Palermo, lui sbarcava il lunario facendo il disc jockey nei locali di Mazara, facendosi chiamare Fofò Dj. Lavoretti proseguiti in Toscana, dove si trasferì a 19 anni, rimediando qualche soldo come pr delle discoteche. L' ASCESA - Un inizio non facile, insomma, anche nella professione di avvocato, che agli esordi lo vide patrocinare le cause dei comitati contrari al passaggio del treno ad alta velocità nel sottopasso fiorentino. Cavalcando la protesta No-Tav credeva di essersi fatto la base per non sfigurare nelle elezioni a sindaco del 2009, ma si sbagliava: prese l' 1,8%. Poco male, perché il movimento era comunque in ascesa. Quattro anni dopo a Bonafede bastano 227 voti per vincere le "parlamentarie" ed entrare a Montecitorio, dove in qualità di vicepresidente della commissione Giustizia si ritaglia il ruolo di trait d' union tra il M5S e i procuratori più osannati dai militanti, come il palermitano Nino Di Matteo, che fa di tutto per portare alla corte di Di Maio. «È meraviglioso», dice in estasi al Fatto, «che un pm impegnato da decenni contro la mafia consideri la politica come un possibile proseguimento della sua carriera». Non la imbrocca con Di Matteo, però gli va bene con Conte, che convince a entrare nella squadra incaricata di scrivere il programma. E con l' ascesa del giurista pugliese a palazzo Chigi le quotazioni di Bonafede vanno alle stelle. SECONDO MANDATO - A 42 anni, diventato guardasigilli, può considerarsi un uomo arrivato, avendo soddisfatto quel corollario della legge di Murphy per cui «ogni membro di una gerarchia tende a raggiungere il proprio livello d' incompetenza». La conferma è di questi giorni, con la magistratura spaccata dalla faida interna e lui ministro travicello, privo di carisma e dell' autorità necessaria per farsi ascoltare e riportare la calma nel pollaio. Che la personalità sia il suo primo problema lo dice anche il rapporto tormentato con Matteo Salvini. Bonafede lo detesta e lo soffre al contempo, giungendo a scimmiottarlo, giaccone della Polizia penitenziaria addosso, quando c' è da andare a prendere il terrorista Cesare Battisti all' aeroporto di Ciampino. I parlamentari del Pd gli invidiano i rapporti che si è costruito con Magistratura democratica e sui social network lo chiamano #malafede, ma lui non ha fatto altro che seguire la strada aperta da loro, che la sudditanza dinanzi alle toghe l' hanno inventata e perfezionata negli anni gloriosi dell' antiberlusconismo. La buona notizia è che il governo Conte sta con l' acqua alla gola e che per Bonafede questo è il secondo mandato, l' ultimo possibile secondo le regole del M5S. Tra poco, se non s' inventeranno qualche gabola, ce ne libereremo. Dopo di che, pregheremo per l' arrivo di qualcuno che abbia il coraggio di abolire il processo a vita e gli altri supplizi che l' ex Fofò Dj ha inventato per noi. di Fausto Carioti

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