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Pdl, scontro finale tra Berlusconi e Alfano, Colombe pronte a divorziare prima del Congresso

Berlusconi e Alfano

Giulio Bucchi
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«Occhio presidente, che se vuole andare alla resa dei conti si fa male anche lei». Angelino Alfano gliel'ha detto chiaro e tondo giovedì sera a Silvio Berlusconi nel faccia a faccia forse più drammatico che si è consumato tra il delfino e il suo padre putativo, alla presenza del ministro per le Infrastrutture, Maurizio Lupi, chiamato dallo stesso Cavaliere. Il segretario del Pdl, forte della maglia numero 1 di un partito non ancora rottamato e del suo ruolo di vicepremier, l'altra sera non è salito a palazzo Grazioli con il cappello in mano. Ma per lanciare un avvertimento al capo. Cercando sì, di salvare fino all'ultimo l'unità del partito e di portare Berlusconi dalla parte delle colombe strappandolo ai lealisti di Raffaele Fitto. Ma è con un tono venato di minaccia che Alfano ha cercato di ricondurre a più miti consigli l'ex premier: «Lei è sicuro di avere i numeri al Consiglio nazionale? Faccia bene i suoi calcoli se vuole riprendersi il partito», l'ha ammonito mettendolo in guardia dalle cifre dei lealisti. «Non si fidi di Verdini», l'hanno avvertito in coro Lupi e Alfano, ricordando al Cav il voto di fiducia del 2 ottobre al Senato, quando i falchi avevano fatto credere fino all'ultimo di avere i numeri per far cadere il governo a Berlusconi. Che a un millimetro dal baratro, invece, ha fatto retromarcia obtorto collo. Ed è qui che il Cavaliere ha sbattuto il primo pugno sul tavolo giovedì sera: «Appunto, quel voto di fiducia non l'ho scelto io, fosse stato per me, avrei votato contro il governo. Chiaro?». E questo Berlusconi oggi è più che mai intenzionato a fare.  Dopo aver ascoltato le ragioni dei ministri che per l'ennesima volta gli spiegavano la necessità di tenere in vita l'esecutivo Letta «anche e soprattutto per il suo bene», Berlusconi è esploso. «Questi mi vogliono ammazzare, lo volete capire o no», ha urlato in faccia ad Alfano e Lupi, «come potete restare al governo con chi vuole la testa del vostro leader? Voi fate come vi pare, io con i miei carnefici non ci resto un minuto di più», ha tagliato corto lasciando intendere chiaramente di voler far saltare il governo. O almeno, di sganciarsi dalle larghe intese.  Mai così distanti. Peggio del faccia a faccia con Alfano andato in scena ad Arcore giovedì scorso, quando Berlusconi gli aveva consegnato una lettera che sembrava l'anteprima di un'intesa. Il Cav si è rimangiato tutto, non solo la garanzia sulla tenuta del governo, ma persino i due coordinatori, espressione di ciascuna corrente, che lo stesso Berlusconi aveva proposto al suo delfino. «Coordinatori non mi piace più, chiamiamoli in un altro modo», ha rettificato davanti allo sguardo basito dei due ministri. Bastava vedere Lupi scuotere la testa, ieri, nella sala consiliare del palazzo del Comune di Pescara per capire com'era andata a Grazioli la sera prima: «Malissimo», sussurra il ministro. Ma le colombe vanno avanti. Oltre la decadenza di Berlusconi, oltre Forza Italia, persino oltre le larghe intese. Guardano al futuro centrodestra, di cui ieri sono state piazzate le fondamenta appunto a Pescara, nel convegno «Bipolarismo, dalle larghe intese alla democrazia dell'alternanza» organizzato dalla fondazione Magna Carta, con tutta la prima linea trasversale dei governisti: dai ministri Gaetano Quagliariello, Giampiero D'Alia e Maurizio Lupi, a Fabrizio Cicchitto, ad Andrea Augello, a Giuseppe Fioroni, a Flavio Tosi. Unica voce fuori dal coro, Maurizio Gasparri, che guarda caso ha dato buca all'ultimo con una scusa.  «Altro che centrino», esordisce il padrone di casa, Gianni Chiodi, governatore dell'Abruzzo, «qui si tengono le prove generali di un grande centrodestra, che va da D'Alia ad Augello, a Tosi». «Noi ministri stiamo lavorando per raccogliere le firme per un nostro documento, auspichiamo che il Consiglio nazionale del 16 non diventi occasione di scontro per chi vuole avere la rivincita sul 2 ottobre, sulla decisione di Berlusconi cioè di sostenere il governo», avverte Lupi. Le firme sarebbero giunte a quota 330, dicono le colombe. Ma stanno aspettando di avere il numero definitivo per decidere se disertare o no il Consiglio nazionale. In tal caso, la scissione si consumerebbe prima. «Se le cose si mettono male, si potrebbe arrivare a una separazione consensuale unilaterale», è l'ossimoro coniato a mo' di previsione dal ministro Quagliariello. D'Alia invece non si sbilancia sul futuro delle governo: «Metto la tripla:1,X,2» di Barbara Romano  

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