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Luigi Di Maio vicepremier, il Pd dice no ma Matteo Renzi è favorevole: umiliazione totale, cosa ci nascondono

Giulio Bucchi
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La trattativa tra Pd e M5s per dar vita al governo si è arenata sulla pretesa di Luigi Di Maio di restare vice di Giuseppe Conte. Il premier incaricato, come noto, vorrebbe al massimo un vice tecnico, il Pd chiede viceversa un suo uomo (Dario Franceschini) e considera uno sbilanciamento di poteri la presenza a Palazzo Chigi anche di Di Maio, vedendo già in Conte un esponente dei 5 Stelle. Ma un po' a sorpresa c'è chi al Nazareno non la pensa come Nicola Zingaretti. È Matteo Renzi, spiega Augusto Minzolini nel suo retroscena sul Giornale.  Leggi anche: "Non ha neanche il potere di decidere". Di Maio deride Zingaretti D'altronde, l'ex premier è stato il più sorprendente e spregiudicato sostenitore dell'abbraccio contro natura tra Pd e M5s, dopo 6 anni di insulti anche personali. "La posta in gioco è troppo alta - avrebbe fatto presente Renzi ai suoi -, per cui se bisogna dire un sì a Di Maio vicepremier per far partire il governo e renderlo più forte, non mi sembra un grosso problema". Il motivo non è tanto legato a un "alto senso di responsabilità", quanto piuttosto a un mero calcolo "aritmetico": "Nel manuale Cencelli, la Bibbia democristiana per la suddivisione delle poltrone - ricorda sardonico Minzo -, se il Viminale equivale a 5 ministeri, il vicepremierato conta poco più di zero sul piano del potere. Nei fatti si tratta solo del ruolo di capodelegazione di uno dei partiti della coalizione". Molta visibilità, è il ragionamento di Renzi, ma solo "un piccolo strapuntino nella stanza dei bottoni".

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