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Dario Franceschini ora esagera: la scissione di Matteo Renzi ci porterà al fascismo

Francesco Specchia
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C'è un fascino spiazzante, una tenacia tutta democristiana nel cambio di opinioni, casacche e idee che Dario Franceschini è in grado di offrire, da sempre, al mondo. Prendete l' ineffabile scissione nel Pd. Renzi se ne va dopo aver piazzato al governo i suoi (un capolavoro tattico assoluto)? Ed ecco che subito il buon Dario verga su Twitter la propria indignazione: «Nel 1921-1922 il Fascismo cresceva sempre più. Popolari, socialisti e liberali avevano la maggioranza in Parlamento. Fecero nascere i governi Bonomi, Facta uno e Facta due. La litigiosità e le divisioni li resero deboli sino a farli cadere facendo trionfare Mussolini. La storia dovrebbe insegnare». Che è un' invettiva meravigliosa, considerando che è stato proprio il ministro della Cultura ad aver accelerato lo schema dell' alleanza Pd-M5S alle Regionali per ridurre Renzi a pallida comparsa politica: «Se c' è la volontà politica si può far tutto». Il sottotesto che ci leggo io è: Renzi non potrà candidare nessuno alle Regionali, io ora lo faccio incazzare, quello finalmente se ne va e io me la batto all' interno del Pd con Zingaretti chè tutt' un' altra musica. Certo la posizione ufficiale di Dario verso la scissione è di contrizione e di preoccupazione, addirittura per i destini dell' intera Eurozona. «Matteo Renzi today is a big problem» ha sussurrato il nostro all' omologa tedesca Michelle Muntefering la quale, prima dell' inizio di un convegno in Triennale lo ha avvicinato chiedendo «What is Renzi doing now?», cosa cavolo sta facendo Renzi? Però la ministra teutonica non conosce bene la ragnatela di strategia tesa al potere che Franceschini -il cuore pesante di Jago, la resistenza di Casini, la barba arruffata di Massimo Cacciari, ma con pensieri meno limpidi- è in grado di tessere anche nelle posizioni più proibitive. TANTE VITE Tenete conto che parliamo di un signore sicuramente colto, educato, scrittore d' inquieto talento, che alle elezioni è stato trombato perfino nella sua Ferrara, lasciando vincere la destra per la prima volta dopo settant' anni. La battuta frequente di Renzi segretario del Pd era: «Quando non vedo Franceschini inizio a preoccuparmi», che dava l' esatta idea del pericoloso camaleontismo e dell' arte dell' intrigo del nostro. Franceschini ha avuto più vite politiche di Mastella: prima moroteo, poi sottopancia di Zaccagnini, poi sodale di De Mita fino alla di lui caduta con Tangentopoli; poi il sostegno a Prodi, e D' Alema e Amato e del disastroso Veltroni di cui era vice, da lì il nomignolo di "vice-disastro" appioppatogli da Renzi. Anche se, dopo, ecco per Dario proprio il passaggio con Renzi (due volte nel 2013 e 2017 alle Primarie del partito), l' endorsement a Martina, l' abbraccio con Enrico Letta. E qui si richiama lo zenith del suo voltagabbanismo, nel 2004. Letta premier "provvisorio", fatto Dario ministro, gli diede l' incarico di controllare gli intrighi sotterranei di Renzi. Per poi rendersi conto, dopo, che, a contribuire a farlo fuori era stato lo stesso Franceschini, il primo alleato occulto del Talleyrand di Rignano. Il tutto avvenne un paio di giorni prima del leggendario «Enrico, stai sereno». Ecco, invece Franceschini, quando sente l' odore del potere, rimane tutto fuorché sereno; lo inala, quel potere, se ne inebria con affanno. Franceschini ama muoversi nelle tenebre, pensare alleanze e stringere mani nell' ombra. Eppure, se si esclude l' aria arruffata e lo sguardo smerigliato di questi difficili giorni di crisi, egli è in grado di mostrare i sentimenti e smuovere gli affetti più cari. Per esempio, fu per compiacere le velleità politiche della fidanzata Michela Di Biase candidata alle comunali di Roma che inondò amici e militanti Pd con sms di sponsorizzazione ai limiti dell' imbarazzo. Ma tant' è. TRAVASO DI BILE L'imbarazzo, con Franceschini, dura un attimo. Solo pochi giorni, per poi rilasciare strategicamente la famosa intervista pro-5 Stelle al Corriere della sera in cui si accanì elegantemente su Renzi: «Da parte sua c' è stata più volte la rivendicazione orgogliosa di aver lasciato che Lega e M5s facessero il governo. Io credo che quella sia la madre di tutti gli errori. Sì, un grande sbaglio non avere fatto tutto quello che avremmo potuto per evitare la saldatura fra Lega e 5 Stelle in una legislatura che peraltro elegge il Capo dello Stato. Pensiamo ai danni che sono stati fatti in questo anno. La strategia del popcorn ha portato la Lega dopo un anno al 35%. Abbiamo buttato un terzo dell' elettorato italiano, quello dei 5 stelle, in mano a Salvini». Un' uscita che ha causato in Renzi, che già mal lo tollerava, un travaso di bile. Il risultato è Matteo che sbatte la porta e Dario che invoca il fascismo. Non so come, miodio, ma ce l' ha fatta ancora una volta... di Francesco Specchia

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