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Pietro Senaldi: "Giuseppe Conte vero capo del M5s ma si vergogna a dirlo. Con chi sarà la sfida a sinistra"

Giulio Bucchi
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Il premier Conte sostiene di essere sopra le parti e di svolgere un ruolo di rappresentanza, sintesi e indirizzo delle quattro sinistre che reggono il suo governo. In realtà nello scorso fine settimana egli è stato, con Grillo, la star della festa dei dieci anni di M5S, a Napoli. Sul palco, Di Maio ha detto a tutti i militanti di essere contento di aver fatto un passo indietro per favorire l' ascesa di «Giuseppi». L' interessato, anziché schermirsi, ha sorriso compiaciuto e si è messo pure la mano sul cuore quando la platea di Cinquestelle ha iniziato a gridare «Uno di noi, Conte è uno di noi». Se poi sia stato il raffinato professore di Volturara Appula a diventare la sesta, e ormai unica, stella del Movimento, o viceversa siano stati i talebani anticasta a trasformarsi in contiani, è questione di lana caprina. Il punto è che ormai l' identificazione c' è stata e l' ha perfino benedetta il guru Beppe, che, sempre da Napoli, ha mandato un sonoro vaffa ai militanti ai quali il nuovo corso non va giù. Il premier è diventato l' ariete sul quale i Cinquestelle puntano per sfondare a sinistra e mangiarsi in un boccone il Pd e Leu. L' operazione è tutt' altro che impossibile, almeno finché i dem resteranno ostaggio della segreteria di Zingaretti. L' improbabile capotribù progressita, dopo essersi vantato di aver sconfitto due volte M5S e aver a lungo giurato che non ci avrebbe mai governato insieme, è ora in piena sudditanza psicologica nei confronti del Movimento. Il fratello di Montalbano non si è ripreso dallo choc di essere stato costretto ad allearsi con i grillini e qualche giorno fa ha addirittura affermato che, in fondo, la Raggi non è male, dovrebbe solo impegnarsi un po' di più. Pronunciate dal segretario di un partito che un paio d' anni fa ha costretto i propri dirigenti a spazzare le strade di Roma in segno di protesta contro le inefficienze del sindaco pentastellato, sono parole sconcertanti. Anche perché, nel frattempo, la situazione monnezza nella Capitale è peggiorata. Niente prigionieri - Quanto M5S tenga in conto Zingaretti ci ha pensato Di Maio a ribadirlo, liquidando le profferte del segretario dem con la sentenza che gli accordi giallorossi vanno bene ma guai a parlare di alleanza organica e asse di ferro. Insomma, Conte e grillini non faranno troppi prigionieri nel Pd. Solo dopo essere stato respinto con perdite il segretario dem ha corretto il tiro, producendosi nell' ennesima gimcana che lo ha portato a concludere, per il momento, che sarebbe meglio «trovare un' alternativa a Virginia». Il passaggio del capo del governo da figura terza a leader grillo-sinistro, iniziato con il ripudio in Aula della propria esperienza di 14 mesi da vice del suo vice, Salvini, è stato reso ancor più definitivo dallo strappo di Renzi, unica voce che canta fuori dal coro nell' esecutivo e anti-premier di fatto. Non a caso i due non si sopportano. La vera sfida finale, a sinistra, sarà tra loro. A proposito di Italia Viva, tra le tante cose che il premier Conte dice, c' è anche la storiella secondo la quale nel governo non c' è nessuna tensione intorno alla manovra e che il clima è ottimo. Qualcuno allora ci spieghi perché l' esecutivo si è ridotto all' ultimo secondo per presentare all' Europa il Documento di Programmazione di Bilancio, dal quale originerà la prossima manovra finanziaria. Sono tutti talmente d' accordo che sono dovuti ricorrere a vertici notturni, confidando che l' intesa scaturisca da stanchezza e sfinimento piuttosto che da unità di vedute, la quale invece latita. Oggi è l' ultimo giorno possibile per consegnare il documento all' Europa, ma già ieri Di Maio ha messo le mani avanti, sostenendo che c' è ancora una settimana di tempo. Non è vero, ma la bugia è indicativa del caos. Lontano da Palazzo Chigi - Quando al governo sedeva Salvini, il passatempo della grande stampa e dell' opposizione era contare i minuti che il ministro non passava al Viminale. Ieri Conte, dopo il fine settimana napoletano, era ad Avellino, invitato dal forzista Rotondi, per commemorare Fiorentino Sullo, democristianone in voga negli anni Sessanta. Si è perfino esibito nei panni di direttore d' orchestra nel teatro locale, con tanto di bacchetta in mano. Impegno non proprio ineludibile e siparietto imbarazzante, però nessuno ha fiatato sull' assenza del presidente dal tavolo delle trattative in un momento così delicato, con l' intesa di là da venire e i partiti della maggioranza in lite. Il premier, dall' Irpinia, ha negato l' evidenza e ha attaccato i cronisti, accusandoli di inventarsi i dissidi sulla manovra, che ha dato per fatta. Ormai Giuseppi si sente le stimmate del grillino doc, tanto da non perdere occasione per evocare il solito complotto mediatico. Quando i giornalisti tuttavia gli hanno chiesto cosa ci fosse nel documento di programmazione, il presidente del Consiglio ha replicato: «E lo dico proprio a voi?», come a significare: non sono fesso. Ma se non lo dice al Paese in diretta tv, a chi lo deve dire? Alla Von der Leyen, a Casaleggio o a Trump? di Pietro Senaldi

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