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Giulio Sapelli, la profezia sull'Ilva: "Salvarla è vitale, ma il governo non è all'altezza"

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Francesco Specchia
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Siamo al crocicchio per l' inferno direbbe Sartre. Per l' ex Ilva, la riserva nazionale e -al tempo stesso- il sacrario della siderurgia dopo la Procura di Milano ora si muove -contro il recesso di Arcelor Mittal- anche quella di Taranto, dietro denuncia dei commissari straordinari (per «fatti e comportamenti lesivi dell' economia nazionale»). Ma lo stallo è nocivo. Si rischia lo scardinamento del nostro stesso sistema industriale. Professor Giulio Sapelli, da economista e profondo conoscitore della nostra economia e dei nostri processi organizzativi, ora che cosa accadrà? «Be', è chiaro che Mittal voglia abbandonare il campo: ritiene non ci siano più le condizioni giuridiche per andare avanti. Si prospetta una grande battaglia legale, ma con i tempi dilatati della giustizia civile italiana, ci vorranno anni. E quindi la situazione mi sembra ovvia. E tragica. Bisognerebbe trovare azionisti privati, penso ad Arvedi che ha tecnologie avanzate, ma è ora tutto difficile». Il problema più urgente sembra che per Mittal sia il cattivo affare di un' azienda che perde 2 milioni al giorno. E per il governo quello di arrivare a un compromesso (l' entrata di Cdp, l' accettazione di una parte degli esuberi). «Il vero problema, qui, sono gli altiforni: bisogna impedire che vengano spenti, e questo si può fare soltanto, a questo punto, con un' opportuna moral suasion. Anche perché oltre ai danni enormi provocati dallo spegnimento, per riaccenderli sarebbe forse peggio». Ma il governo. «Il governo non mi pare che sia all' altezza. Perché non ha le competenze, e perché nel suo stesso interno ha una forte componente antiindustriale, a sua volta divisa in un' ala esoterica dei 5 Stelle che vede qualunque elemento d' industria come una connotazione del male e in un' altra non necessariamente ambientalista ma legata a certa concezione ideologica del capitalismo». Ma sarebbe così grave la chiusura di Taranto? Non c' è qualche suo collega che ritiene che anche l' acciaio, come qualsiasi altro prodotto, possa essere acquistato sul mercato internazionale? «Mai come in questo momento l' Italia ha bisogno della produzione di Taranto. Perché quegli acciai piani sono, qualitativamente, tra i migliori al mondo; perché in un Paese fatto di piccole e medie imprese coprono il 70% del fabbisogno nazionale a un prezzo inferiore rispetto all' oligopolio internazionale; e perché servono a costruire i rapporti con la Mesopotamia, ossia la Siria e l' Iraq ma anche la Libia, e per ricucirci un nuovo ruolo in Europa». Senta professore, c' è un' altra scuola di pensiero. Quella che racconta che, in realtà, dati i suoi stabilimenti nel resto d' Europa, Mittal si sia buttata su Ilva non per salvarla, ma per chiuderla. Le pare plausibile? «Finora, questo tipo di strategia, i grandi investitori tendono raramente a perseguirla. In molti casi, come General Electrics e Avio, si sono sempre mantenuti gli impianti produttivi. E, a dirla tutta, nel lungo periodo, non vedo in giro una sovracapacità produttiva dell' acciaio, anzi. E se ne ha bisogno anche per ragioni strategiche industriali verso l' Africa». In una perfetta simmetria del disastro industriale, a Taranto e all' Ilva si contrappongono oggi Venezia e il Mose. Cosa ne pensa del sistema di barriere veneziano ancora incompiuto, nonostante 7 miliardi finora spesi? «Non ho competenze per fare un' analisi tecnica. Ma certo era un progetto che nasceva bene ispirato agli analoghi olandesi, e quello della bocca del Tamigi. Ma tutto parte da un vizio di origine: il Mose fu fatto senza una gara. E alcuni dei responsabili sono ancora presenti nella vita pubblica italiana». Si riferisce a qualcuno in particolare? «No, non faccio il poliziotto. Ma basta scorre l' elenco dei ministri, dei commissari e dei tecnici di allora». La convince l' analisi del governatore del Veneto Luca Zaia il quale afferma che specie ora servirebbe l' autonomia differenziata; che la Lega non c' entri col Mose che si perde nella notte dei tempi; e che prima bisognerebbe provarlo, il Mose, per sapere almeno se funziona? «Zaia dice delle cose inconfutabili. Guardi, dal 2001 con la riforma Bassanini dell' art V° abbiamo scardinato la struttura dello Stato. Ma è chiaro che tra le amministrazioni regionali che ancora funzionano ci sia il Veneto. Però, vede, oggi si parla di fatalità, ma fatalità fino a un certo punto, dato che il progetto doveva essere pronto 16 anni fa. Il problema vero è un altro». Quale? «Ma di cosa ci stupiamo ora, quando a Venezia assistiamo tranquillamente ogni giorno al transito delle grandi navi a due passi da piazza San Marco? È un atteggiamento italiano. Come il fatto che continuiamo a non avere la separazione delle carriere in magistratura, una giustizia che è quello che è, un apparato tecnocratico abnorme. Dovremmo finirla di fare gli ipocriti». Si parla tanto di investimenti in infrastrutture. Ma se si esclude un accenno alla golden rule (lo scorporo dal calcolo del deficit, appunto, degli investimenti pubblici), il governo, almeno sulla carta, ci sta mettendo meno di 1 miliardo. Si cresce così? «Paolo Savona che è un tecnico inoppugnabile parla di un alto numero di opere pubbliche già cantierizzate (l' ultimo dato è 70 miliardi, ndr). Mi domando, dato che per esse i soldi sono già stati stanziati, perché non vadano avanti. E non mi tirino fuori la solita nenia che "la coperta è troppo corta", e altre eccezioni da ordoliberisti». Io non vedo una grande agitazione sul tema opere pubbliche, o delle privatizzazioni. Nella manovra il ministro dell' Economia Gualtieri conta molto sul decreto fiscale, sulle tasse ecologiche e sul fatto che l' Europa ci dia flessibilità per 12/14 miliardi. Non lo trova troppo timido e ottimista? «Gualtieri è persona molto competente, è uno storico che ha scritto una bella tesi sull' Europa e ha la fortuna di non essere un economista con la testa riempita di sciocchezze. Ma rischia di avere una spiccata visione della manovra influenzata da ideologie del passato, diciamo così». Cosa ha pensato quando si è tornato a parlare di Alitalia? «Con Alitalia la situazione non è inedita. Eppure, si era arrivati, fondamentalmente, ad un ottimo contratto. Ma i sindacati hanno fatto votare anche i non iscritti (ma come si fa?) e quel contratto è stato respinto. A questo punto bisognerebbe aprire un dibattito pubblico su domande fondamentali: interessa davvero conservare l' italianità? O meglio un rilancio di proprietà straniera in cui solo la sede legale e produttiva rimangano in Italia? E le risposte non sono semplici, specie considerando che siamo il paese in cui l' Alta velocità sulla tratta ferroviaria Milano-Roma ha, di fatto, distrutto la tratta aerea; o dove s' è scelto di usare Malpensa invece di optare per l' aeroporto di Verona, e posso andare avanti». Cosa accadde quella notte, quando le proposero nel 2018 di fare il Presidente del Consiglio? «Semplicemente, un amico mi chiese di mettermi a disposizione per Palazzo Chigi. Siccome io sono piemontese con un alto senso dello Stato, l' ho fatto. La prospettiva di impedire che Di Maio diventasse premier mi avrebbe spinto a fare qualunque cosa». Il governo reggerà fino alla Legge di Bilancio? «Della manovra interessa a pochi. In realtà i partitelli appena nati, ma anche tutti gli altri, stanno aspettando le nomine degli enti pubblici (500 circa, ndr) per applicare lo spoil system e "bassaninizzare" la Pubblica Amministrazione». E la Lega? Andrà all' arrembaggio o rimarrà in attesa? «L' espressione "arrembaggio" non mi piace, la trovo volgare. Penso che Lega abbia degli ottimi amministratori locali e lavori egregiamente sul territorio. Ma la sua vera strategia per fare la differenza è quella di liberarsi dei suoi estremismi e abbracciare l' Europa. Deve parlare con la Merkel e con quelli che lì contano». Così la Lega dovrebbe buttare a mare tutte le idee sul sovranismo... «Io non concepisco l' idea di sovranismo se non nell' ottica filosofica di Jean Bodin ("potere assoluto e perpetuo dello Stato" nell' ambito della tolleranza e della libertà religiosa, ndr), ma non so se lei si riferisce a quello». 

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