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Sardine, il sondaggio dice: 15 per cento. Pessime notizie per il Pd, perché sorride Salvini

Maria Pezzi
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«Quando una balena non sta più a galla anche le sardine la prendono a calci in culo», amava dire il grande umorista Alfredo Accattino. E, fuor di metafora, il fatto che la Balena Pd ormai galleggi a fatica tra i marosi del consenso nazionale (anzi tenda allo spiaggiamento), be', non fa altro che esaltare le sardine di piazza che stanno prendendo a calci in culo la "vecchia politica". Incredibile come ora siano tutti lì, a contendersi l' entusiasmo e la rivoluzione neanche troppo silenziosa dei pesciolini: intellettuali, politici scafati, ideologi di risulta. Si scomodano perfino scrittori d' Oltralpe come il fisico francese Bill François che ha appena pubblicato "Éloquence de la sardine", un «phamplet che ci fa immergere negli abissi marini con l' intento reale di portarci a scandagliare il nostro io più profondo». Son tutti lì a sfruculiare, nutrire e analizzare il movimento fondato da Mattia Santori, Andrea Garreffa, Giulia Trappoloni, e Roberto Morotti. E l' analisi sfocia, naturalmente, nella capacità del neonato movimento di raggrumare voti. Quanto valgono le sardine? I sondaggisti, da Tecné ad Antonio Noto, da YouTrend a Piepoli, valutano la loro forza elettorale in una forbice abbastanza amplia, tra il 5,7% e il 15%, a seconda che possano candidarsi da soli o a braccetto con i giovani ecologisti di Friday For Future (i sodali di Greta Thumberg). Il totem - Carlo Buttaroni, direttore scientifico di Tecné ha spiegato che le sardine «sono un fenomeno senza perimetro esatto, senza leader, dove ognuno mette dentro ciò che vuole, a propria immagine e somiglianza. Adesso è la loro forza, alla lunga può dimostrarsi una debolezza». Il che è vero. Ma non del tutto. In realtà il giovane Mattia -sempre più totem da talk show- e la sua affollata crociata dei fanciulli andrebbe a drenare consenso soprattutto dal Pd e dalla sinistra -la Balena di cui sopra, appunto- in crisi palese d' identità. Addirittura il 15% dei votanti dell' attuale partito di Zingaretti si infilerebbe volentieri nel branco dei pesciolini. E, tanto per essere chiari, io non ce lo vedo -come sospetta Giorgia Meloni- Romano Prodi che, nel buio della sua stanzetta, chino sul computer, adesca su Instagram le sardine all' amo della vecchia comunisteria bolognese. No, è tutto spontaneo. E, in tutto ciò, il centrodestra non viene per nulla scalfito dalle nuove posizioni di forza di queste sinistre piazze; anzi, per certi versi ne trae beneficio. Salvini ha trovato un nemico palese e trasparente, e strategicamente questo è un vantaggio. La sfida - Il problema, però, in questi giorni, non è tanto di Zinga, ma del suo candidato governatore in Emilia Romagna. Stefano Bonaccini, attuale buon Presidente della Regione, aveva puntato tutta la sua campagna elettorale sull' esperienza e sulla capacità tecnica in grado di travalicare il colore politico. Cavalcando l' idea trasversale di "buongoverno" e limitando al massimo ogni ingerenza della politica nazionale e -soprattutto- del suo Pd, il candidato stava consolidando un modello elettorale vincente. In nome del "civismo" puro era in vantaggio (45.4%) sull' avversaria del centrodestra Lucia Borgonzoni (40.6%), anche se la Lega risultava ancora primo partito anche in una regione tradizionalmente "rossa" col 29.8, coi dem a 5 punti di distanza, 24.7%. Ora però le sardine gli hanno incasinato la prospettiva introducendo una nuova, fortissima, componente ideologica; sicché radicalizzando la campagna elettorale verso il "tutti-tranne-Savini" stanno cambiando lo scenario nel modo esattamente opposto a quel che voleva Bonaccini. Altro elemento felicemente populista delle Sardine è che non hanno -almeno per ora- intenzione di candidarsi; non fanno promesse che non sono in grado ma anche che sono in grado di mantenere; non mostrano uno straccio di programma politico, anzi prendono i programmi degli altri e ne fanno carta straccia. Sono incazzati neri per non dire qualunquisti alla Guglielmo Giannini; ma lo sono con educazione. Manifestano dissenso ma non lo finalizzano -come ha fatto, alla fine, la gran parte dei 5 Stelle- alla poltrona. Mi ricordano il movimento della Pantera della mia gioventù: migliaia di ruggiti che negli anni '90 risuonavano nelle università italiane col sottofondo di "Batti il tuo tempo", brano rap ascoltato da sinistra a destra. Finì come finisce sempre: s' imborghesirono -ci imborghesimmo-, il vento del logos divenne brezza leggera contro il moloch della politica. E l' appannaggio della piazza protestante finì alla generazione successiva. di Francesco Specchia

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