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Luciano Violante a Pietro Senaldi: "Bonafede non può far pagare agli italiani la sua battaglia personale"

Cristina Agostini
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Presidente, lei è stato giudice e parlamentare, andiamo subito al punto della questione: è vero che la magistratura oggi è diventata troppo potente e conta più dei politici? «Così sembra, per due ragioni. Nelle democrazie il sovrano è colui che dirime i conflitti e oggi, se pensa all'Ilva, ad Autostrade o alla morte di dj Fabo, le decisioni che contano le prendono i giudici. E poi perché, nella crisi della politica, le toghe riescono a dare l' idea di rappresentare meglio le esigenze e le istanze dei cittadini. Sono passate da un ruolo di garanzia a uno di bandiera». La politica ha provato a usare i magistrati e ne è finita scavalcata? «La politica non ha perso forza a causa dei giudici ma perché aumentano le domande dei cittadini e diminuiscono le risorse economiche con cui soddisfarle». Quanto è politicizzata la magistratura? «Non credo che sia manovrata dalla politica né reputo che combatta a favore di uno schieramento o contro un altro. Però i capi delle diverse correnti hanno un peso eccessivo. Questo è un male». C'è una lotta di potere che divide i magistrati? «Il problema della magistratura oggi è che il consenso delle personalità più autorevoli in ciascuna corrente può portare giudici non eccellenti ad assumere ruoli importanti e toghe più dotate a fare meno carriera». Leggi anche: "Che tristezza, si fa male da solo". La badilata di Repubblica su Grillo: ecco chi ha portato il Pd al governo In pratica i giudici fanno politica ma per contendersi il loro potere, non per condizionare i parlamentari, che hanno meno potere di loro. Come dire, se puoi comandare a Milano, che ti importa di batterti per diventare sindaco di Voghera? «Se non ho capito male, questa è una sua felice sintesi». Ravvisa una deriva giustizialista dell'Italia a guida grillina? «Si parte da Tangentopoli, quando un pezzo del mondo giudiziario, di quello politico e della cittadinanza ritenne che il magistrato potesse essere un' autorità morale, con il potere di decidere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Da qui nacque l' ipertrofia di reati, quella che anche il Papa criticò parlando di populismo penale. Sono due fenomeni in grado di minare la stabilità di una società». La terza fase è il giustizialismo grillino, parente del terrorismo giudiziario dei giacobini francesi? «La terza fase, alla quale ahimè siamo arrivati da un po', è la sostituzione del principio di non colpevolezza con quello di non innocenza. La comunicazione giudiziaria è diventata una condanna anticipata, con tanto di cassa di risonanza massmediatica e di messaggi negativi verso la società, che viene portata a non avere fiducia. Finché non si mette un limite, la mannaia continuerà a colpire». Non se la prenderà anche lei con i giornalisti? «Voi fate la vostra parte ma il problema è più complesso. Non è solo mediatico. Se una legge stabilisce che chi ha un procedimento pendente decade automaticamente dai contratti pubblici anche se non è condannato significa che il legislatore è diventato giustizialista e arbitrario». Entrato alla Camera nel 1979 con il Pci e restato in Parlamento per otto legislature consecutive, fino a diventare presidente di Montecitorio, Luciano Violante è sempre stato un duro. Comunista tutto d'un pezzo, finché c'è stato il partito, nonché politicamente figlio d'arte, giacché il padre fu spedito dal regime mussoliniano in Etiopia. Magistrato e professore di diritto e procedura penale, già allievo di Aldo Moro all'Università di Bari, sa quel che dice quando afferma che un processo per un innocente oggi è un inferno, «perché oltre al danno economico di pagarsi l'avvocato, si vede sospesa la propria vita professionale. E se il 50% dei giudizi termina con un'assoluzione, forse occorre riflettere se l'azione penale non venga intrapresa con poca prudenza, perché il dato è allarmante». Non si potrebbe, se non punire, almeno rallentare, come avviene in tutte le professioni, la carriera dei magistrati che sbagliano e perseguitano innocenti? «È difficile valutare il lavoro di un giudice, perché ci sono il primo grado, l'appello, la Cassazione. E poi c'è la grande ipocrisia dell' obbligatorietà dell' azione penale, che si traduce in una discrezionalità di fatto del pm a inquisire». Presidente, dal primo gennaio è stata abolita la prescrizione dopo il primo grado di giudizio, cosa ne pensa? «È una legge sbagliata. Ancora più sbagliato è giustificarla con il fatto che ci aiuterà ad avere processi più brevi, perché al contrario essi si allungheranno. Inoltre il nuovo regime espone anche chi è stato assolto in primo grado al rischio di restare sotto processo a vita». È una legge figlia del giustizialismo del ministro Bonafede? «Capisco l' esigenza del Cinquestelle di evitare che imputati facoltosi assistiti da principi del foro sfuggano alla giustizia grazie alla prescrizione, ma non puoi far pagare a sessanta milioni di italiani la tua battaglia contro un manipolo ridotto di accusati eccellenti». È massimalismo giudiziario? «Prima di fare nuove leggi bisognerebbe studiare i problemi nel dettaglio, altrimenti si impongono cambiamenti dettati dall' ideologia e frutto di una conoscenza approssimativa dello stato delle cose. Ma così possono prodursi effetti devastanti». Perché il Pd si è arreso in questo modo ai manettari grillini? «Mi sembra che abbia presentato una proposta di legge sulla prescrizione che risolverebbe in modo più ragionevole i problemi giustamente posti da Cinquestelle». Ma la difesa dei diritti dei cittadini non sarebbe per la sinistra una buona ragione per far cadere il governo? «Se cade il governo la legge sulla prescrizione resta, si va a elezioni e modificarla diventa più lungo e complesso di quanto non lo sia oggi. E poi c' è il fatto che quando sei in coalizione devi negoziare e pagare dei prezzi, lo ha fatto anche la Lega». Perché il Pd non sfida i grillini apertamente sul tema giustizia, sono in crollo verticale? «È presto per dare per morti i cinquestelle». La crisi però c'è tutta: a cosa la addebita? «I grillini sono partiti come una galassia di comunità digitali, che sono per natura aggressive e oppositive. Non sono in grado di dare consigli ma forse ai pentastellati converrebbe smetterla con la retorica della società degli innocenti, altrimenti rischiano di fare il tifo per una società ingabbiata dal diritto penale, che prima o dopo potrebbe anche rivoltarglisi contro. Dovrebbero parlare e spiegarsi di più, non solo comunicare tramite i social. In questo senso, mi sembra che Salvini si sia mostrato più attento. La Lega usa i social ma va anche nelle piazze, non ha rinunciato al contatto umano. Per questo alla prova del governo il Carroccio è cresciuto ed M5S è sceso. Ma la parola definitiva non è detta». A proposito di Salvini, ma si può processare un ministro per sequestro di persona? «Resto un magistrato, di processi parlo solo dopo aver letto le carte». Mi spieghi allora come il premier Conte può chiamarsi fuori dalla vicenda Gregoretti... «Non essendoci stato un consiglio dei ministri sul punto, la questione è quanto la decisione di non far sbarcare i profughi fosse condivisa. E qui parleranno le carte». Non pensa che i magistrati abbiano perso popolarità anche per le loro continue intromissioni nella politica: Craxi e la Dc, Mastella e Prodi, Berlusconi, ora Salvini? «Le vicende giudiziarie hanno condizionato, forse troppo, molti aspetti della vita del Paese, ma ognuna meriterebbe un' intervista specifica. La popolarità dei giudici è legata alla quotidianità. Negli anni '80-'90 avevamo 24 magistrati uccisi dalla mafia e dalla criminalità. Con Tangentopoli poi ci fu un momento in cui parve che le toghe potessero salvare l' Italia, quindi il rispetto era altissimo». Poi la catarsi giudiziaria non ci fu, gli italiani si ritrovarono con una giustizia che non funziona e la credibilità dei giudici crollò «Certo peggiore è la percezione della giustizia, peggiore è l' immagine dei magistrati. Consideri che il magistrato ha davanti a sé due parti e a una darà ragione e all' altra torto. Chi ha avuto torto, non sarà mai soddisfatto. Però non si può fare di tutta l' erba un fascio. Certi uffici funzionano benissimo, altri no. Prima di fare riforme alla cieca bisognerebbe studiare i casi virtuosi e provare a emularli. Comunque, vorrei tranquillizzarla: i giudici promuovono moltissime azioni disciplinari contro i loro colleghi inefficienti e in tanti casi esse si risolvono con una condanna». Chiudiamo con la politica: da ex comunista, qual è l'erede del grande partito della sinistra italiana? «Non c'è, neppure il Pd lo è. Il Pci è morto senza eredi perché è stato incapace di fare una revisione formale, come fecero i socialdemocratici tedeschi, anche se forse noi eravamo più socialdemocratici di loro». Da figlio di un comunista al confino, pensa che oggi ci sia il rischio di un ritorno agli anni Trenta, come paventano molti a sinistra? «No, non ci sono le condizioni storiche e sociali. Però ravviso una recrudescenza dell'intolleranza verso i più deboli e i disabili, favorita dall'innalzamento dei toni. Ed è preoccupante». Perciò ancora oggi la sinistra continua a dividersi in partitini? «Le scissioni sono nella natura della sinistra, perché essa tende a modificare il mondo, mentre la destra tende ad adattarvisi e cavalcarlo. Ovvio che ciascuno ha una propria idea diversa di come cambiare il mondo, e quindi a sinistra è più facile separarsi che unirsi». Ha capito perché il Pd ha scaricato Renzi? «A me sembra che sia andata all'opposto. Renzi è un dirigente politico di altissimo livello, sa come si fanno le cose e come si comanda, ma è incompatibile con un partito fatto di persone che possano avere anche idee diverse da lui, quindi è incompatibile con il Pd. La storia non poteva andare diversamente». Quando cade il governo? «Ho l'impressione che sia troppo debole per cadere. Nessuno dei suoi componenti avrebbe la forza di affrontare le elezioni e misurarsi per il consenso». di Pietro Senaldi

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