Governo Renzi, numeri ballerini al Senato
Ancor prima delle dimissioni ufficiali di Enrico Letta, ancor prima di avere uno straccio di lista dei ministri, ancor prima delle consultazioni, ancor prima che Matteo Renzi diventi premier grazie all'ultima manovra di Palazzo, ancor prima di tutto ciò la mano passa al pallottoliere. La strada è segnata, il segretario del Pd andrà a Palazzo Chigi. E subito ci si interroga: avrà i numeri per governare? Alla Camera non sarà un problema, poiché la maggioranza del Pd, grazie al premio ottenuto con il Porcellum alle ultime elezioni politiche, è solida. Riflettori puntati sul Senato, dunque, quel Senato che Renzi si propone di abolire (un proposito che gli si potrebbe ritorcere contro, spedendolo a casa molto prima di quel 2018 di cui vaneggiava soltanto giovedì alla Direzione del suo partito). Progetto fallito - A Palazzo Madama la maggioranza che sostiene Renzi rischia di essere la stessa, con 171-175 voti (teoricamente) sicuri. Una decina di voti malcontati, insomma, che assicurano la sopravvivenza al nascituro esecutivo. Peccato però che l'esperienza governativa del sindaco di Firenze, almeno al Senato, non nasca sotto una buona stella. Ci aveva provato, Matteo, a convincere Nichi Vendola. I due hanno parlato lunedì, ancor prima che il leader del Pd andasse da Giorgio Napolitano al Quirinale. Renzi accarezzava il progetto di far fuori gli alfaniani, confidava in un governo tutto di sinistra grazie al voto dei sette senatori di Sel e ai 10-15 dissidenti del Movimento 5 Stelle. Il progetto, però, è morto in culla. Sel è a rischio scissione, così il partito di Vendola - anche se Renzi si sarebbe spinto fino a promettere il reddito di cittadinanza - ha bloccato tutto. Niente appoggio, come confermato da Vendola stesso giovedì sera, dopo l'annuncio delle dimissioni di Letta, quando il governatore della Puglia ha stigmatizzato l'"oscura manovra di palazzo" con cui è stato incoronato Renzi. Il pallottoliere - I renziani, però, restano forti delle loro convinzioni: sostengono che almeno tre vendoliani (il giustiziatore del Cav, Stefàno, Uras e De Cristofaro) voteranno la fiducia a Matteo. Ai tre, stando ai loro calcoli, si dovrebbe aggiungere anche una grillina. Ma i numeri restano ballerini. Renzi a Palazzo Madama potrà contare sui 107 voti del Pd, sugli 8 di Scelta Civica, i 3 di Gal, i 12 di Per l'Italia e i 10 delle Autonomie. Poi, certo, c'è il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano, con la sua squadra di 31 senatori. Trentuno voti indispensabili, che considerato il "niet" di Vendola e l'imprevedibilità dei grillini (dissidenti compresi) rendono la vita di Renzi difficile. Il premier in pectore può già dire addio, per esempio, allo ius soli, alla legge-capestro anti-Cav sul conflitto di interessi, alle coppie di fatto (del reddito di cittadinanza non se ne parla proprio). Matteo, di Angelino, non potrà fare a meno. Il governo "tutto di sinistra" è pura utopia, e una squadra di ministri troppo rossa, come quella di cui si sta vociferando, potrebbe subito far storcere il naso a Ncd. I numeri restano risicatissimi. Al Senato rischia grosso. Se Alfano volesse staccare la spina...