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Napolitano pressa Renzi:riforme e me ne vado

Re Giorgio vuole chiudere il mandato in anticipo, per farlo ha bisogno che il rottamatore porti a casa la legge elettorale

Matteo Legnani
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Ci sono voci che si rincorrono da tempo riguardo la prosecuzione del mandato presidenziale di Giorgio Napolitano. La più insistente è che l'attuale inquilino del Quirinale possa lasciare a breve: entro l'anno, si dice. Appena incardinate le riforme urgenti per il Paese e quando sarà ben avviato il semestre italiano di presidenza europea. Un appuntamento al quale l'ex premier Enrico Letta teneva molto e che invece ora vedrà protagonista Matteo Renzi. Tra i due lo scambio della campanella di Palazzo Chigi è stato un momento di freddezza pura, un ultrarapido passaggio di consegne senza neppure guardarsi negli occhi. Mentre entrambi, l'uscente e l'entrante, hanno più volte ringraziato il capo dello Stato. La differenza è che il governo Letta è nato a tutti gli effetti sotto l'ala protettrice di Re Giorgio. L'uomo del Colle l'ha creato e blindato da subito minacciando di andarsene ad ogni accenno di crisi. Minacce ventilate da Napolitano già nel suo discorso d'investitura alle Camere quando, dopo l'incidente dei 101 Pd che impallinarono Romano Prodi, i vari leader di partito furono costretti a salire al Colle per implorarlo di rimanere ancora. Lui ha detto sì. Prima volta di un presidente della Repubblica rieletto, per giunta alla soglia dei novant'anni. "Resto, ma si facciano le riforme necessarie", era stato il monito del 20 aprile 2013. Ma già a dicembre  rumors sostenevano che il successore di Ciampi avrebbe annunciato le dimissioni durante il discorso di fine anno. L'esecutivo Letta, nato «in circostanze eccezionali» e senza investitura popolare, sembrava reggere perché le larghe intese erano assicurate. Anche quando Forza Italia è uscita dalla maggioranza, il presidente ne ha preso atto, ma più facile minacciare le dimissioni che sciogliere le Camere.   Un po' lo stesso copione che si è verificato dopo la rissa interna al Pd: sfiduciato Letta, Napolitano non ha potuto fare altro che prendere atto dell'avviso di sfratto del vertice del Nazareno e accettare il cambio della guardia. Con una differenza: fare arrivare all'opinione pubblica il messaggio che lui non ha interferito nella composizione del governo Renzi. "Deludo i cultori delle ricostruzioni giornalistiche a tinte forti", ha detto venerdì sera. "Vedete? Il mio braccio non è stato sottoposto ad alcuna prova di ferro, infatti è in buone condizioni". Insomma, io non c'entro con i ministri appena nominati, ha voluto dire l'uomo del Colle al quale, però, si attribuisce la responsabilità (e nessuna smentita ufficiale è arrivata finora) di essersi opposto al pm Gratteri alla Giustizia e a favore del deputato ex Pci (come lui) Andrea Orlando. "La responsabilità delle proposte è prerogativa del premier, cosa che è stata rispettata", ha insistito senza che nessuno glielo domandasse in una sorta di excusatio non petita accusatio manifesta. Mentre i retroscena si sprecano sul siluramento dell'ultimo minuto di Emma Bonino agli Esteri (di cui però ora crescono le quotazioni come prima donna al Colle) e sull'avallo di Pier Carlo Padoan all'Economia. E ieri, dopo le foto di rito al giuramento, Renzi è corso a palazzo Chigi per il primo Consiglio dei ministri lasciando Napolitano e signora Clio con i parenti al buffet presidenziale. Stretta di mano veloce e poi via, senza troppe smancerie né paterne pacche sulle spalle. Le riforme incombono. E se neppure Matteo centra il bersaglio, re Giorgio pensa a mollare per godersi i nipoti. Del resto, questo non è il suo governo: "L'impronta di Renzi è evidente in molti nomi nuovi chiamati per la prima volta come ministri". Chiara presa di distanza da eventuali incidenti di percorso. E dopo Napolitano? Si scalda Prodi, sempre lui, Guarda caso, ieri, a Firenze ha scherzato: "Se fossi stato presidente sarei venuto qui con 101 corazzieri". di Brunella Bolloli    

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